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«L’urlo» (1893) di Edvard Munch (particolare)

Foto tratta da Wikipedia

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«L’urlo» (1893) di Edvard Munch (particolare)

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All’ufficio stampa non sembra vero di poter «vietare»

Scambiano l’arte con segreti militari o strategie finanziarie o romanzi gialli, rivelando così il loro gap culturale

Il grillo vedente e scrivente

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Nel mondo del XXI secolo ogni nostro atto è controllato, privacy e intimità sono continuamente violate e i «segreti di Stato», persino gli affari vaticani, vengono resi pubblici con inquietante istantaneità. La comunicazione è diventata il motore di tutto, dall’economia al calciomercato, dalla gastronomia alla guerra, alla vita intima del ministro della Cultura. Tuttavia c’è qualcuno ancora capace di serbare l’accanito esercizio dell’embargo e del top secret su ciò che pare costituire un valore supremo inalienabile, una voce primaria del Pil nazionale da occultare: le mostre d’arte. Ci sono uffici stampa, istituzionali o privati, che con l’impassibilità di un burocrate sovietico durante la Guerra Fredda hanno fatto del blocco dell’informazione, o meglio, dell’informazione «a orologeria», il loro efferato, intransigente privilegio: difendere strenuamente fino all’ultimo i segreti di Guercino, quello che nessuno sapeva di Munch, l’ultima trovata di Cattelan.

Minacciati da chi? Dai giornalisti che hanno scadenze da rispettare. Al solerte, inflessibile ufficio stampa nulla importa che i mensili dovranno rinviare di un mese, i settimanali di una settimana, i quotidiani di un giorno. Nulla importa che tutto ciò sia di fatto contro l’interesse della mostra. Ma allora chi ne trae vantaggio? Quale vantaggio? Chi sono i mandanti? Funzionari ministeriali? Direttori di museo, curatrici e curatori, gli stessi artisti, se viventi? Molto molto strano. Molto più probabile che siano loro stessi i mandanti di sé stessi: gli uffici stampa. Non c’è altra spiegazione. Per magnificare sé stessi, esaltare il proprio ruolo, il proprio privilegio. Nel nome del sacro rito dell’evento i curatori vengono imbavagliati, gli studiosi censurati, le videocamere oscurate: un ferreo regime omertoso e timoroso viene instaurato per tutelare questo scopo supremo, questo sacro obiettivo, questione di assoluta, primaria, vitale e centrale importanza: la conferenza stampa di presentazione che dev’essere affollata, l’inviolabile suspence taciuta fino all’ora x perché deve fare notizia. Come se nessuno sapesse finora nulla di Guercino o di Munch o di Cattelan. L’arte alla fin fine appartiene a tutti, è sempre stata esempio di indipendenza e anticonformismo: l’aspetto più grottesco (ma la faccenda in realtà è soltanto comica) è che invece in Italia ci sia ancora qualcuno che pensa di controllarla.

Gentili uffici stampa, signori curatori, egregi funzionari, chiarissimi storici dell’arte, fate un po’ compassione se davvero pensate che Raffaello, Boccioni o Cattelan possano diventare vostri segreti o schiavetti personali che potete elargire quando volete e come volete e dimostrare così il vostro poterino personale, inferiore perfino a quello di un vigile urbano in una strada o a quello di un bidello all’ingresso della sua scuola. Indossare gambali, fischietto e paletta rimane una tentazione troppo forte alla quale alcuni italiani non hanno ancora imparato a resistere.

Il grillo vedente e scrivente, 15 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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