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Francesco Dallasta
Leggi i suoi articoliIl 7 marzo scorso è stata inaugurata a Roma la mostra «Caravaggio 2025». La cornice è quella delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini, un museo importante e dal nome altisonante che rispecchia le ambizioni unitarie e centraliste della sua fondazione. Le Gallerie Nazionali furono infatti istituite all’indomani dell’unità d’Italia, verso la fine del XIX secolo, nell’ambito di uno straordinario sforzo del giovane Stato italiano per la realizzazione di musei nazionali, che superassero l’enorme frammentazione regionale del patrimonio artistico del nostro paese.
Nello stesso contesto nacquero altre importanti istituzioni museali attive ancora oggi, ad esempio il Museo Nazionale Romano o la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. In poche parole, si cercava di realizzare a Roma, la nuova capitale del Regno d’Italia, ciò che esisteva già negli altri grandi stati europei, un museo nazionale che unisse culturalmente tutti gli italiani. Ancora in anni recenti il modello ideale che i direttori delle Gallerie hanno tenuto in considerazione è stato quello del Louvre di Parigi o del Prado di Madrid. Tuttavia, questo sforzo dovette fare i conti fin da subito con l’eredità storica del nostro paese: «Dobbiamo considerare la storia di Roma: la città eterna non può avere il Museo, come il Louvre o il Prado, perché non è stata retta da una casa regnante […]. Roma era governata da pontefici la cui carica è elettiva. Ad ogni cambio di papa, nasceva un nuovo palazzo e una nuova collezione d’arte. Per questo Roma ha tante gallerie private, Borghese, Corsini (poi divenute statali), Doria Pamphilj, Pallavicini, Colonna, e non ha il grande museo», spiegava l’ex direttrice Maria Grazia Bernardini.
Insomma, le Gallerie Nazionali di Arte Antica, dove si sta svolgendo la mostra su Caravaggio, vivono un’ambizione di grandezza che, pur condivisibile nelle intenzioni, si scontra in continuazione con la complessità della realtà. La premessa è utile se si considera un aspetto particolarmente curioso relativo alla mostra in questione. Il 20 marzo, circa due settimane dopo l’inaugurazione, compare sui profili social di Palazzo Barberini un annuncio relativo all’apertura straordinaria del Casino Boncompagni Ludovisi, dove si conserva l’unica pittura murale conosciuta di Caravaggio: «Giove, Nettuno e Plutone». Il dipinto è legato ad allegorie alchemiche a causa della destinazione d’uso della sala che fu il gabinetto alchemico del cardinale Del Monte. Il legame dell’opera con la mostra di Palazzo Barberini è naturale, come è d’altra parte naturale la connessione con tutte le altre testimonianze artistiche di Caravaggio, e non solo, permanentemente presenti e fruibili nella capitale.
L’importanza storico-artistica del Casino Ludovisi non si limita al dipinto di Caravaggio; esso ospita, infatti, anche l’affresco con l’«Aurora» di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino, motivo per il quale è anche conosciuto come Casino dell’Aurora. Eppure, nonostante l’immenso valore e la grande rilevanza nell’ambito del patrimonio artistico romano, si tratta di un’apertura straordinaria: il Casino Ludovisi non è normalmente accessibile al pubblico e la sua vicenda recente è emblematica dell’estrema complessità dell’attività di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico, non sempre efficace e a volte addirittura impotente di fronte ad episodi in cui l’equilibrio tra la tutela dell’interesse pubblico e le intenzioni dei proprietari rischia di vacillare, dando origine a situazioni a dir poco paradossali come quella, appunto, del Casino Ludovisi.
Per cercare di capire come mai, nonostante la rilevanza storico-artistica, l’immobile e le sue opere non godano ancora di una forma definitiva di tutela e valorizzazione, bisogna considerare la storia della villa e le vicende dei suoi proprietari. Il Casino dell’Aurora era, in origine, una pertinenza della più grande Villa Ludovisi, l’enorme villa suburbana voluta dal cardinale Ludovico Ludovisi nei primi decenni del Seicento. La villa e il parco si sviluppavano per oltre 30 ettari tra la porta Salaria e la porta Pinciana, fino al confine con il convento dei Cappuccini, nell’area che oggi coincide con il Rione Ludovisi. Il progetto della villa consisteva nell’unione di aree acquistate da diversi proprietari e già in parte edificate, tra le quali appunto il Casino dell’Aurora, posseduto e rimaneggiato alla fine del Cinquecento dal cardinale Francesco Maria Del Monte, committente di Caravaggio e alla cui proprietà risale il dipinto del maestro lombardo. La villa e il parco vennero quasi interamente distrutti in una spiacevole vicenda di speculazione edilizia alla fine dell’Ottocento e gli eredi Boncompagni-Ludovisi mantennero la proprietà del solo Casino dell’Aurora dove hanno vissuto fino ad anni recentissimi. Il fatto che la villa fosse una residenza privata ha reso per molto tempo la sua situazione equiparabile a quella di tante altre dimore storiche, poste sotto tutela dallo Stato italiano, la cui fruibilità al pubblico era necessariamente sottoposta alle intenzioni legittime dei proprietari.

Casino Ludovisi, Roma
Tuttavia, nel marzo del 2018, alla morte di Nicolò Boncompagni Ludovisi, ultimo proprietario della villa, è sorta una disputa ereditaria che ha visto contrapposti i tre figli di prime nozze del defunto e la sua ultima moglie, la quale rivendicava il diritto di continuare ad abitare nel Casino Ludovisi. Nell’impossibilità di trovare un compromesso tra le parti, il tribunale ha disposto che il Casino dell’Aurora venisse sottoposto ad asta giudiziaria. In questa occasione è stata commissionata una perizia per stabilire il valore del bene che è risultato, appunto, di 471 milioni di euro. L’episodio suscitò diverse reazioni, anche molto autorevoli, come quella di Tomaso Montanari. I temi che emersero dal dibattito pubblico erano essenzialmente due. Il primo contestava la bontà della perizia, che si riteneva sproporzionata in quanto basata su valutazioni di mercato di opere simili ma trasportabili. In particolare, non si considerava il fatto che sia il dipinto di Caravaggio che l’affresco di Guercino fossero parte di un immobile tutelato dallo Stato italiano e quindi comportassero onerosi obblighi di manutenzione da parte di un eventuale acquirente, nonché l’impossibilità di alienare le singole opere o di cederle in prestito. Il secondo tema era quello dell’opportunità per lo Stato italiano di intervenire direttamente attraverso l’acquisto del Casino Ludovisi, opzione suggerita, da una parte, dal diritto di prelazione dello Stato in caso di alienazione di un bene tutelato. D’altra parte, l’elevatissima base d’asta poneva anche la questione di quale fosse un prezzo equo al quale proporre un acquisto pubblico. Nel frattempo, nonostante i timori e le speranze che qualche grande investitore potesse aggiudicarsi il Casino Ludovisi, tutte e sei le aste disposte dal tribunale sono andate deserte, fino al 2023, quando lo sfratto della moglie del Boncompagni-Ludovisi ha risolto la questione legale e ha posto fine alle aste giudiziarie, ora gli eredi potranno decidere autonomamente cosa fare della villa, compresa l’ipotesi di vendita attraverso una trattativa privata. L’ultima asta aveva registrato un sensibile ribasso nella base d’asta, fissata a 144 milioni di euro. Per quanto riguarda l’acquisto da parte dello Stato, le cifre che erano state proposte come accettabili da parte di chi si era espresso a favore erano intorno ai 100 milioni di euro.
Questa vicenda dai tratti grotteschi ma non inusuale nel nostro paese è un’eccellente opportunità per fare una riflessione sul ruolo dello Stato e sugli strumenti a sua disposizione per cercare di valorizzare e tutelare l’enorme patrimonio artistico nazionale. Ciò che stupisce, nella vicenda del Casino dell’Aurora, non è tanto il fatto che la villa possa rimanere nelle mani di privati, quanto il fatto che situazioni come quella in esempio ne possano in qualche modo pregiudicare la fruibilità da parte del pubblico o complicarne la tutela. È interessante, ad esempio, riflettere sulle parole di Marco Magnifico, presidente del Fai-Fondo Ambiente Italiano, che sottolinea come lo sfratto del 2023 abbia lasciato di fatto disabitata la proprietà, con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista della manutenzione. Allo stesso modo, se da una parte lo Stato gode di strumenti di tutela che gli permettono di intervenire, come ad esempio il già citato diritto di prelazione, è altrettanto vero che ciò non è sufficiente a garantire una soluzione ottimale degli interessi in gioco. È importante che, in fase di vendita, vi sia un’attenta analisi delle garanzie fornite dal nuovo acquirente e che si instauri un rapporto proficuo di collaborazione tra pubblico e privato per cercare di allineare quanto più possibile gli interessi. È lo stesso Magnifico a sottolinearlo, facendo l’esempio di casi virtuosi di collaborazione tra soggetti privati e istituzioni, come la Galleria Doria Pamphilj o la Galleria Colonna, sempre a Roma. D’altra parte, se lo Stato dovesse intervenire con l’acquisto ogni volta che si presenta una situazione di questo tipo, la spesa sarebbe elevatissima. È dunque opportuno e necessario che si trovi una soluzione definitiva per garantire la fruibilità e la tutela del Casino Ludovisi, e la mostra in corso è un passo importante in questo senso, come lo è stata la mostra di Guercino conclusasi a dicembre e tutte le aperture straordinarie che sono state fatte in questi anni nonostante le difficoltà. Sarebbe bello se queste iniziative potessero diventare strutturali e non più straordinarie, nei limiti e secondo le esigenze della proprietà. È altrettanto auspicabile che, qualora la villa venisse venduta ad un privato, lo Stato si attivi per garantirne prima di tutto la tutela e la fruibilità, molto più importanti di un eventuale acquisto diretto.