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Elena Giovanna Fillia
Leggi i suoi articoliLo Städel Museum di Francoforte sul Meno, fino al 17 agosto, ospita una retrospettiva di Annegret Soltau, onorando così una delle artiste tedesche contemporanee più significative, icona femminista della Body art degli anni ’70, attiva fino ai giorni nostri. La curatrice Svenja Grosser sottolinea la soddisfazione del museo nell’esporre le opere dell’artista che vive a Darmstadt, città poco lontana da Francoforte. Nata nel 1946, più volte censurata per la sua espressione artistica, Soltau continua a stupire per la sua energia e per l’inaugurazione della mostra ha proposto una delle sue performance, «Permanente Demonstration», in cui è solita coinvolgere attivamente anche il pubblico. Entrando nel museo, i visitatori vengono accolti da una parete su cui sono raccolti articoli, commenti e critiche, a testimonianza della censura a cui, specialmente cinquant’anni fa, è stato sottoposto il suo lavoro, un complesso e originale contributo al mondo dell’arte e al movimento per la liberazione delle donne.
Le oltre 80 opere, la maggior parte delle quali provengono direttamente dall’atelier dell’artista, tra cui alcune mai state esposte prima, comprendono disegni, fotomontaggi, video e installazioni. Sono arrivati anche prestiti da istituzioni come il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk, il Lenbachhaus di Monaco, la Sammlung Verbund di Vienna e lo Zkm di Karlsruhe. Grosser racconta che per questa esposizione, realizzata in collaborazione con l’artista, sono stati necessari tre anni di lavoro.
Pur utilizzando il mezzo fotografico, Soltau non desidera essere definita una fotografa. La fotografia le serve per andare oltre, verso una multidisciplinarità creativa che le permette di mettere in discussione il ruolo della donna nella società e considerare da una prospettiva nuova e provocatoria il corpo femminile. Superfluo ribadire l’attualità delle sue opere caratterizzate dal cucito fotografico, in cui i frammenti delle immagini, precedentemente strappate, vengono ricuciti in forme diverse con aghi e filo nero, non a caso un’attività da sempre attinente al ruolo della donna. Ne risultano immagini affascinanti e perturbanti nella loro decostruzione di pregiudizi e ruoli tradizionali.
Cresciuta con la nonna, senza aver mai conosciuto il padre, Annegret Soltau ha dovuto confrontarsi con la povertà e le difficoltà del dopoguerra. Nonostante ciò è riuscita a studiare all’Accademia di Belle Arti di Amburgo, iniziando con il disegno e la grafica, per passare molto presto alla fotografia. Coinvolta dal movimento femminista degli anni ’60 e ’70, e in sintonia con le nuove tendenze, inizia ad esplorare l’universo femminile attraverso le performance e la Body art, estremizzando sempre più l’uso degli aghi, del filo e delle linee. Da strumento di documentazione, la fotografia si trasforma in espressione artistica autonoma.
Nel suo lavoro, centrale è l’idea che «il corpo è politico». Soltau fa del suo corpo, e talvolta quello dei suoi famigliari, l’oggetto e il medium delle sue creazioni. Lo sfrutta coraggiosamente e senza riserbo nella presentazione accurata del suo trasformarsi nelle varie fasi della vita: la gravidanza, la maternità, l’invecchiamento. Non ha remore nell’esporre non solo il suo fisico nudo, ma anche quello della nonna, della madre e della figlia nell’opera «Generativ», lavoro significativo nel suo raffinato intreccio tra passato, presente e futuro.
Nella serie «Mutter-Glück» del 1980, combina ritratti suoi e dei figli con frasi come «Madre Felicità Figli Odio», evidenziando la dualità del suo ruolo in quanto madre e artista. Entrambi ruoli creativi. Soltau rifiuta la scelta tra i due proposta dalla società. Lascia che, anche se conflittualmente, i due ruoli si compenetrino. Documenta il periodo della gravidanza con un video del suo corpo e una serie di ciuffi di capelli persi durante i nove mesi. Denuncia e cerca di spiegare la paura e la complessità insite nel diventare madri.
Fondamentale per lei è la definizione di identità, sia femminile sia maschile. Concretizza la sua ricerca nell’installazione «Personal identity» iniziata nel 2003. In una successione di autoritratti fotografici ha cucito documenti, carte bancarie, certificati, biglietti della sua vita, con l’obiettivo di mettere in discussione l’idea di identità nel tempo della digitalizzazione. L’opera, ancora incompleta, terminerà con l’ultima fotografia, in cui verrà cucito il suo certificato di morte.
«Grima» raccoglie i lavori che vanno dal 1989 al 2010 e, come la parola nordica «grima» (cioè «maschera») suggerisce, sono creazioni ibride in cui l’artista affronta le categorie di genere con collage quasi grotteschi ottenuti da foto sue e dei propri figli combinate con ritagli di manifesti sugli animali. Congiungendo frammenti di corpi diversi, l’artista si chiede quali siano i limiti biologici dell’individualità e quali quelli determinati dalla società.

Annegret Soltau, «Mit mir selbst in front», 1975

Annegret Soltau, «Vatersuche», 2003