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«String Quartet no 14 opus 131 (für Ludwig van Beethoven)» (2021- 2023) di Anselm Kiefer. Cortesia della Galleria Lorcan O’Neill

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«String Quartet no 14 opus 131 (für Ludwig van Beethoven)» (2021- 2023) di Anselm Kiefer. Cortesia della Galleria Lorcan O’Neill

Anselm Kiefer è l’Angelus Novus

Nelle opere da Lorcan O’Neill vi è un grande mestiere e una solida autorevolezza accademica ma il racconto risulta un po’ appesantito, l’immagine affaticata, i riferimenti, colti e precisi, appaiono quasi abbandonati sotto il peso del pretesto. Al grande artista tedesco però si perdona tutto

Danilo Eccher

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Negli anni Ottanta Anselm Kiefer era considerato da alcuni autorevoli critici il più grande artista vivente; oggi tale giudizio si è un po’ stemperato ma rimane comunque uno dei più grandi artisti viventi. Certamente è stato uno dei protagonisti dell’arte del XX secolo: il Padiglione della Germania alla Biennale veneziana del 1980 è un esempio quasi irripetibile della grandezza e della potenza della pittura. Tornerà poi alla Biennale, invitato da Germano Celant, alla fine degli anni Novanta e nel 1999 realizzerà la sua prima grande mostra in un museo italiano, alla Gam di Bologna.

In quegli anni la galleria Lia Rumma di Napoli comincerà a rappresentarlo in Italia mantenendo vivo un rapporto fino ad oggi intenso e solido. Solo qualche mese fa la stessa galleria ha proposto un’elegante e raffinata mostra nella sede storica di Napoli con una serie di opere dedicate a Giovanni Segantini. Non si può non citare la spettacolare mostra al Palazzo Ducale di Venezia l’estate scorsa in un confronto eroico con le grandi pitture di Tintoretto. Oggi Anselm Kiefer approda alla galleria romana Lorcan O’NeillThe Consciousness of Stones», sino al 27 gennaio 2024) e risalta immediatamente l’inadeguatezza dello spazio.

La potenza, l’irruenza, la violenza della sua pittura necessita di un rapporto con lo spazio equilibrato, richiede precisi coni visivi, impone regole prospettiche e ambientali ineludibili, l’HangarBicocca a Milano ne detta la grammatica. Perché la sua è un’arte che vive nello spazio e non nel tempo, è anzi un’arte che assorbe lo spazio negando il tempo. Rimangono comunque le opere: maestose nel dominio del racconto, drammatiche come i tempi che viviamo, imponenti intellettualmente ancor prima che pittoricamente. Nel magma catramoso della superficie sono sprofondati i racconti precedenti, corrose le architetture di Albert Speer, annegati i letti delle donne della rivoluzione, impastati i paesaggi di Norimberga, dissolto il sapere di «Nachtschatten» (1998).

Affiora però il mistero di «Eis und Blut» (1971), quel precipizio negli incubi della storia, quel procedere nelle paludi della filosofia, quell’inciampare nelle parole della letteratura, quel tendere l’orecchio al suono di Beethoven, di Wagner. «Quando questi scritti bruceranno, daranno finalmente un po’ di luce» è una frase del filosofo Andrea Emo e anche il titolo della mostra veneziana di Kiefer, ma è anche, allo stesso tempo, il segno di un fare arte che affronta la tragedia di un’instabilità perenne, un dubbio costante, un’eccitante angoscia della deriva. Anselm Kiefer è il sacerdote di una liturgia alchemica che mescola le immagini di una visionarietà antica e le compone in un silenzioso sguardo poetico.

È l’artista, il filosofo, il folle che cammina sul filo teso nel vuoto, è lui che raccoglie le immagini oscure di una memoria che si fa sapere, è lui che compone con leggerezza una poesia di metallo. È l’«Angelus Novus» che guarda al passato aggrappato alla memoria ma è travolto dal futuro, è lo sciamano che non teme di seppellire l’oro nelle viscere di una terra arsa e cretosa. Si colgono così le essenze delle acide corrosioni cromatiche, il cupo affondare di un magma instabile, i bagliori luminosi di una foglia d’oro sepolta nelle profondità della gommalacca.

Le opere di Anselm Kiefer si propongono così come schegge di pensiero, accensioni di conoscenza che sanno di non poter raccontare tutto, sanno che le loro immagini sono come simboliche matrioske capaci di celare al loro interno infinite altre immagini, altri simboli, altre verità. Comunque, a prescindere da certa ingenua superficialità espositiva, capace di esporre all’esterno, in un angusto passaggio, un’opera troppo grande per la galleria, rimangono le opere di un gigante della pittura. Forse c’è un’eccessiva compiacenza teatrale nell’uso di una materialità viscosa e opprimente che risulta meno convincente di opere come «Einschüsse» o come la magica serie di «Sternenfall».

Anche l’uso della foglia d’oro, già presente nelle opere napoletane della galleria Lia Rumma, anche se in quel caso controbilanciato dalla forza delle ossidazioni elettrolitiche, non risulta sempre convincente pur mantenendo un velo di sofisticato garbo narrativo. In queste opere vi è un grande mestiere, una solida autorevolezza accademica ma il racconto risulta un po’ appesantito, l’immagine affaticata, i riferimenti letterari, filosofici, teologici, musicali sono, come sempre, colti e precisi ma appaiono lontani, distaccati, quasi abbandonati sotto il peso del pretesto. Anselm Kiefer rimane uno dei più grandi artisti viventi, i suoi lavori sono giacimenti visionari di pensieri e di poesia, un gigante a cui oggi si può perdonare tutto.
 

Danilo Eccher, 21 novembre 2023 | © Riproduzione riservata

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