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La copertina del volume

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Après Warhol, l'estetizzazione dell'arte

Anna Minola

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Con Andy Warhol inizia quel processo di estetizzazione dell’arte che caratterizza la contemporaneità. Ce ne parla Andrea Mecacci, professore di Estetica all’Università di Firenze, nel suo Dopo Warhol, individuando tre momenti salienti dell’estetizzazione: un primo momento «pop» (dalla metà degli anni Cinquanta agli inizi degli anni Settanta), un momento «postmoderno» (dagli anni Settanta alla fine degli anni Ottanta) e infine il momento dell’«estetica diffusa» (dagli anni Novanta a oggi).

La cultura «pop», che si è formata all’interno di una società industriale e consumistica, fonda la sua idea dell’arte su punti precisi che sono, diciamolo con l’autore, «abolizione dell’io, antiemotività, predominanza dell’artificiale e cancellazione della natura, tautologia delle immagini, falsa distinzione gerarchica con la cultura lowbrow».
Al centro dell’arte «pop» c’è la «Pop art» e c’è Andy Warhol. E l’autore si sofferma proprio su questo artista: è da lui che si è sviluppata quell’estetizzazione dell’arte di cui si sta dicendo e che tuttora perdura. Spesso si sente dire che la Pop art è caratterizzata dall’oggetto, l’oggetto quotidiano realisticamente reso. E invece Mecacci sostiene il contrario. Con Warhol, che si è applicato in particolare all’immagine di Marilyn Monroe, che ha «costruito» artificialmente, analizzandola attraverso i filtri dei media e delle tecniche riproduttive, praticando un make-up, l’immagine è diventata un’icona.

Warhol, come ha sostenuto Baudrillard parlando di «collisione» tra opera d’arte e merce, «ha costretto l’arte a mettere in discussione se stessa capovolgendo sia l’aura della sua autenticità, specchiandosi nella produzione in serie, sia le modalità di questa produzione». Andrea Mecacci sottolinea fortemente l’importanza di Warhol che «ci ha offerto un "alfabeto visivo", un "breviario" estetico da cui non possiamo prescindere», dando luogo a una cultura artistica, industriale e borghese, fondata sull’artificialità.

Dopo il momento del pop, c’è stato quello del postmoderno. Il postmoderno è ricorso al Kitsch, che ha recuperato all’arte una dimensione soggettiva fondata sulle più diverse e stravaganti ibridazioni, ma, parallelamente, nel postmoderno, specie in architettura, mentre perdurava il rigore del «Less is more» di Mies van der Rohe si passava al «Less is bore» di Robert Venturi e ci si sbizzarriva in vari modi, approdando allo «stile giocattolo». Il momento successivo, il caotico «adesso», assiste a una esteticità diffusa che permea tutta quanta la realtà, «derealizzandola» definitivamente in una gigantesca finzione.
Il libro, articolato in moltissime informazioni e riflessioni e citazioni, si conclude, ricco anche di umorismo, ipotizzando un confusissimo viaggiatore che, trovandosi a passare per il centro di Pisa, può chiedere «Excuse me, where is Pizza Tower?».


Dopo Warhol. Il pop, il postmoderno, l’estetica diffusa, di Andrea Mecacci, 105 pp., Donzelli, Roma 2017, €16,00

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Anna Minola, 14 settembre 2017 | © Riproduzione riservata

Après Warhol, l'estetizzazione dell'arte | Anna Minola

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