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Giuseppe Melzi
Leggi i suoi articoliPer incarico dei proprietari di alcuni disegni di un importante artista da tempo defunto ho richiesto di inserire e di rilasciare la certificazione di autenticità ai responsabili dell’Archivio facente capo a una omonima fondazione. Il qualificato Comitato scientifico nominato dagli eredi dell’artista ha eccepito la «(ir)rilevanza» dei disegni: «L’Archivio… raccoglie la documentazione relativa alle opere del Maestro per la loro pubblicazione sul Catalogo ragionato. La scelta di quali opere pubblicare o meno è attribuita ad un Comitato scientifico che procede esclusivamente all’archiviazione di quelle opere che, secondo la sua valutazione, ritiene più rilevanti ai fini della loro pubblicazione sul Catalogo ragionato». La «discrezionalità» con cui vengono realizzati gli Archivi penalizza gravemente l’immagine e le opere degli artisti italiani, soprattutto in ambito internazionale. E penalizza non meno gravemente i collezionisti che subiscono questa «discrezionalità», senza poter opporre alcun efficace rimedio, se non attraverso defatiganti e rischiosi giudizi (i consulenti nominati dai giudici sono spesso inadeguati). Gli studiosi, gli esperti e anche i giudici considerano la «certificazione di autenticità» una libera manifestazione del pensiero (art. 11 e 33 Cost.), quindi una mera «opinione».
Tale essenziale documento previsto nelle negoziazioni professionali delle opere d’arte dall’art. 64 del Testo unico Beni culturali e, in precedenza, dall’art. 2 della Legge Pieraccini, assume valore in base all’«autorevolezza» di chi lo sottoscrive, ma anche tale riconoscimento è «discrezionale». Un’opinione per definizione non è «coercibile» (nessuno può essere obbligato a pronunciarsi) né «sanzionabile» (anche di fronte a un’evidenza contraria chi l’ha rilasciata non può subire censure o sanzioni, a eccezione di ipotesi di dolo o colpa grave, difficilissime da provare). Siamo, allora, di fronte a una «relatività» irrimediabile? Chi rilascia le certificazioni di autenticità detiene, quindi, un «potere di vita e di morte» sull’opera? I collezionisti debbono subire tale «discrezionalità» impunemente? Come porre rimedio? Come far accertare obiettivamente la (reale) «autenticità», o meno, di un’opera d’arte e adottare principi, criteri, metodi condivisi per far coincidere l’«opinione» di chi realizza gli Archivi e rilascia le certificazioni con la «verità storica»? I «relativisti» dubitano finanche che possa esistere o essere certificata. Il tema è ampio e complesso.
È utile partire dalle opere cosiddette «minori», non tipiche dell’artista, eseguite in gioventù o non riuscite, finanche «brutte». La selezione ai fini dell’archiviazione e della pubblicazione delle opere d’arte («solo le più rilevanti»), contraddice principi giuridici essenziali e prassi internazionali, ignorando e, quindi, compromettendo la stessa identità dell’artista e violando i diritti fondamentali dei collezionisti. Tali principi sono sostenuti e applicati dalla Scholars Association Catalogue raisonné (1994), dal Codice internazionale di deontologia degli archivi (1996) e dal Codice deontologico Anai (2009) e infine dal Testo unico Beni culturali (2004). L’obbligo di legge in capo all’artista, agli eredi dell’artista e, quindi, a coloro che vengono incaricati di realizzare l’Archivio, deriva dalla titolarità dei diritti agli stessi riconosciuta ex artt. 7 e 8 Codice civile; 20 e 23 Legge diritto d’autore; art. 64 Testo unico, per cui sono anche beneficiari dei «diritti di seguito» ex artt. 2 e 7 Dl n. 118/2006 e Dpr n. 275 del 29/12/2007.
Pertanto, i criteri di «buona pratica» cui dovrebbe ispirarsi l’attività dei soggetti titolari dei diritti di autentificazione (artista ed eredi) e degli organismi incaricati (Comitati scientifici), non consentono di escludere alcuna opera («rilevante» o meno) realizzata dall’artista e, quindi, da ritenersi «autentica» e da inserire nell’Archivio delle opere dell’artista. Il mancato riconoscimento, in base alla dichiarata e programmata «discrezionalità», rende le opere non più negoziabili e quindi completamente prive di valore economico, con il conseguente irrimediabile danno al proprietario che le ha acquistate in totale buona fede e da fonte qualificata. I diritti dei collezionisti, che hanno regolarmente acquistato le opere, non sono inferiori a quelli degli artisti e degli aventi diritto dell’artista che hanno istituito l’Archivio e nominato il Comitato scientifico.
L’attività di archiviazione e di certificazione dell’autenticità delle opere deve avere quantomeno due obiettivi indiscutibili, riguardanti la tutela dei diritti di ciascuno e il comune, condiviso interesse:
l’identificazione di tutte le opere autentiche di un artista (nessuna esclusa), al fine della migliore ricostruzione e valorizzazione dell’identità dell’artista;
la contemporanea tutela dei collezionisti e di tutti gli altri operatori del settore (galleristi, critici ecc.) e del mercato.
Giuseppe Melzi, avvocato, Milano
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