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Perché è vietato tenere un’opera non autentica?

Perché è vietato tenere un’opera non autentica?

Giuseppe Melzi

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In una mia lettera pubblicata nel numero di aprile 2016 (cfr. n. 363, p. 12) evidenziavo la totale discrezionalità e i criteri contraddittori e anomali adottati, a volte, dalle commissioni, o comitati artistici o scientifici, incaricati di realizzare l’archivio delle opere d’arte, rilasciare le certificazioni di autenticità e redigere il catalogo ragionato di un artista. Una seconda anomalia è costituita dalla facile, abusata denuncia all’autorità giudiziaria e/o ai Carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico e Culturale, da parte di «archivisti e certificatori» poco professionali.
Di fronte a un’opera ritenuta non autentica, senza convocare il proprietario per ottenere doverose informazioni e un confronto paritetico con eventuali esperti indipendenti, viene richiesto l’intervento della Magistratura e/o dei Carabinieri. In tal modo si nega un doveroso, preliminare, quanto essenziale contraddittorio sulla «storia» dell’opera (genesi, provenienza, passaggi di proprietà ecc.) e sulle caratteristiche in discussione (supporto, tecnica, materiale utilizzato, stile ecc.). Tale diffusa prassi è davvero anomala: un collezionista che si rivolge a chi è deputato a esaminare l’opera e a rilasciarne la certificazione non è e non può essere in malafede (cioè già consapevole della non autenticità dell’opera) e neppure talmente autolesionista da richiedere la definitiva, ufficiale certificazione della non autenticità della stessa. Non solo, ma di fronte a un accertamento negativo, il proprietario potrebbe anche voler tenere l’opera per sé, con l’impegno di non negoziarla a terzi, perché è punito (solo) il commercio di un’opera d’arte non autentica, ma non la semplice detenzione, come prevedono sia l’art. 178 del Testo unico dei Beni culturali, D. Lgs. 22 gennaio 2014 (commercio in opere false), sia le norme che regolano l’attività economica (ricettazione, incauto acquisto, truffa ecc.). E, quindi, la richiesta preventiva di intervento della Magistratura e dei Carabinieri è a dir poco intempestiva e il sequestro dell’opera è «fuori legge».
E, ancor più, l’ordine eventuale di distruzione dell’opera, ovviamente, nel caso in cui, appunto, non sia oggetto di negoziazione. Una terza, ulteriore anomalia è costituita non solo dall’intervento (preventivo) dei Carabinieri per l’esecuzione del sequestro dell’opera, ma dalle modalità con cui più spesso viene eseguito. I Carabinieri, recandosi nei luoghi dove si presume venga conservata l’opera dal collezionista, estendono il sequestro a ogni altra opera che non sia corredata da certificazioni di autenticità, ovunque si trovi, anche in camera da letto! Un vero e proprio «sequestro d’ufficio, preventivo» effettuato sul presupposto di una (inesistente) «flagranza» di un (inesistente) reato!
Quale reato è mai ipotizzabile, se non sussiste alcuna negoziazione con terzi? E ancor più se il collezionista si rivolge proprio a chi è istituzionalmente qualificato ad accertare l’autenticità dell’opera e a rilasciare la certificazione? Non solo, non è consentito il sequestro di un’opera se, di fronte a un accertamento negativo, il proprietario si impegna a non metterla in commercio. Esistono comportamenti leciti, che prescindono dall’autenticità o meno dell’opera e, quindi, dal valore commerciale, derivanti da rapporti personali, familiari, «affettivi», che debbono essere rispettati. La tutela del patrimonio e del mercato non deve trasformarsi in una persecuzione preventiva dei collezionisti in buona fede.
 
 

Giuseppe Melzi, 06 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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