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Enrique Ramirez, «Tra gli sradicati, una lacerazione, un fiume, un oceano, una distanza senza rive»

© Ennevi. Courtesy of ArtVerona

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Enrique Ramirez, «Tra gli sradicati, una lacerazione, un fiume, un oceano, una distanza senza rive»

© Ennevi. Courtesy of ArtVerona

ArtVerona: dove le parole diventano luoghi

Da palazzi dimenticati a rive attraversate, la XX edizione intreccia arte e memoria, pace e conflitto, generazioni e geografie, restituendo voce agli spazi della città

Camilla Bertoni

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A Verona risuonano parole, in un continuo gioco di rimandi con le immagini, riecheggiano pensieri di pace, di dialogo, per poter sanare le ferite di guerra, riconquistare serenamente luoghi abbandonati o rivitalizzarli attraverso l’arte quando abbiano perduto il loro significato, collegando spazi e persone lontane tra loro, per geografia o generazione. Come tra gli studenti dell’Itis Marco Polo e due artisti, Lorena Bucur e Davide Zulli, che hanno lavorato insieme a loro, con la grande intermediazione culturale del curatore Thomas Ba: il risultato sono le installazioni nella magnifica Rondella delle Boccare, visitabile fino a domenica 12 ottobre, struttura cinquecentesca difensiva, nata per la guerra e mantenuta per la pace. Parole come mani tese, fucili abbassati, muri alzati e abbattuti, libertà, bracci di mare attraversati. Vedi quelle «lanciate» da una riva all’altra dell’Adige da Enrique Ramírez, varate dalla performance «A shoreless distance», con Matthias Puech e Camilla Monga: «Tra gli sradicati, una lacerazione, un fiume, un oceano, una distanza senza rive» (visibili dalla riva opposta all’antica Dogana d’acqua fino al 26 ottobre). Sono le parole che collegano i tanti eventi collaterali che attorniano la XX edizione di ArtVerona (fino a domenica 12 ottobre in fiera, padiglioni 11 e 12) che per titolo, scelto da Laura Lamonea, direttrice artistica della manifestazione per questo triennio, porta Conversazione e scrittura: la parola al centro anche se siamo nel mondo dell’arte visiva. 

La Rondella delle Boccare, con le sue installazioni, è visitabile fino a domenica 12 ottobre. Courtesy of ArtVerona

uno scorcio di «The Then About as Until» a Palazzo Forti. Courtesy of ArtVerona. © Ennevi

Eventi collaterali che hanno contagiato anche istituzioni pubbliche e private, spazi espositivi e gallerie d’arte, da Casa Museo Palazzo Maffei, con la nuova installazione di Anna Galtarossa, che si lascia intrecciare dalla scala elicoidale del palazzo barocco, ad Habitat83, con la performance e la mostra di Giovanni Morbin «Fuori dalle orbite», per citarne solo due. In una città dove la storia prevale sull’interesse verso la contemporaneità, e dove la storia a volte viene maltrattata - vedi il caso di Palazzo Forti, sede originaria della Gam, riaperto proprio grazie ad ArtVerona e alla collaborazione tra Comune, Veronafiere, Fondazione Cariverona - l’ondata di arte contemporanea è un fatto non consueto, mentre la manifestazione semina da un ventennio le basi per la nascita di un giovane collezionismo. Palazzo Forti tornato all’arte contemporanea, dicevamo, come da volontà di chi lo ha donato nel 1937 (non rispettata, triste pagina per la città che lo ha venduto nel 2010): anche se la riapertura durerà solo fino al 26 ottobre, si spera sia premessa per un futuro che guarda alle origini. Le mostre qui sono due, la prima è un progetto di Video Sound Art a cura di Lamonea, «The Then About as Until», qualcosa come «Il circa di allora come un finché». I grandi schermi e le installazioni, a partire dalle opere di Peter Downsbrough, e poi di Auguste Orts (Herman Asselberghs, Anouk De Clercq, Manon de Boer), David Claerbout, Helga Davis, Nicoletta Grillo, regalano suggestioni che vibrano nelle sale da tempo abbandonate del palazzo. Domenica 12 ottobre, dalle 11 alle 14, il collettivo C3 presenterà cinque giovani artisti che si esibiranno all’Acusmonium. La seconda mostra, «Ápeiron|Senza confini», a cura di Patrizia Nuzzo, responsabile delle collezioni della Gam cittadina, e di Isabella Brezigar, è un’anticipazione di un progetto di arte contemporanea dei Musei Civici per il 2026 con opere di Cindy Sherman, Eugenio Degani e Italo Zuffi.

 

Raffaello Galiotto, «Axialis II», 2025. © Raffaello Galiotto © Studio Galiotto

Abbiamo già parlato di «Wounded Words Wounding Words», parole ferite e parole che feriscono, a cura di Marta Cereda, aperta fino al 26 ottobre alla Biblioteca Capitolare, ma ci sono anche altre istituzioni coinvolte: il Lapidario Maffeiano con le sculture di Raffaello Galiotto, quelle di Mattia Bosco sono in piazzetta Navona, il Museo di Storia Naturale con l’installazione di Oriana Persico; alla Gam opere della collezione dialogano con altre prestate da gallerie e collezionisti, mentre al Silos di Levante del Polo universitario di Santa Marta, Zenato Academy ha realizzato tre mostre personali a cura di Luca Panaro di Julia Carrillo, Dario Picariello e Lu Yidan. Infine, con «Folding, flexing, expanding», a cura di Jessica Bianchera e Domenico Quaranta, si riapre fino al 9 novembre Palazzo del Capitanio, normalmente chiuso in attesa di destinazione d’uso definita, e si apre il terzo capitolo del ciclo «Tomorrows»: dopo i primi due dedicati alla Terra e all’acqua, qui è il corpo protagonista, un corpo ferito ma recuperato in una prospettiva transumana (Mit Borras), assediato da mostri (Michele Gabriele), vissuto solo (quello femminile) attraverso lo sguardo maschile (Copper Frances Giloth), o nato dalla resistenza animale, in particolare dei maiali, gli animali più simili all’uomo (Heather Dewey-Hagborg).

Camilla Bertoni, 11 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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