Nel descrivere «Shifting Sands: A Battle Song», ha parlato del progetto come di un appello all’azione affinché le donne saudite prendano il controllo della propria identità e creino le proprie narrazioni, libere dalle rappresentazioni spesso distorte e fuorvianti portate avanti dai media globali. Possiamo leggere il progetto nella cornice del femminismo transezionale (che supera cioè tutte le possibili distinzioni di genere)?
La mia installazione mette al centro le esperienze delle donne del Sud del mondo, amplificando in particolare le voci delle donne saudite che sono state spesso trascurate. L’obiettivo è di rivendicare le loro narrazioni e sfidare le rappresentazioni distorte perpetuate dai media globali. Mi impegno a evitare qualsiasi narrazione che emargini gli altri. Il tema della Biennale Arte 2024, «Stranieri ovunque», offre un contesto in cui la solitudine di chi si sente estraneo si incontra con esperienze condivise. «Shifting Sands: A Battle Song» amplia la mia continua esplorazione dell’influenza dei media sull’autodeterminazione, evidenziando il significato di come le donne sono rappresentate e percepite nella memoria collettiva della società. La mia speranza è che quest’opera d’arte ispiri le donne a riflettere sulle proprie esperienze e a trovare sostegno all’interno della propria comunità per affermare le proprie voci e i propri spazi in questo capitolo di storia che si sta svolgendo e che rimane in gran parte non scritto.
La pratica partecipativa è fondamentale nel suo lavoro e il workshop uno strumento che ha utilizzato spesso in passato. Può spiegarci perché lo ha scelto? So che ha coinvolto comunità di donne provenienti da diverse parti del Golfo e di età diverse.
La comunità è una parte importante della mia pratica, così come lo è della vita saudita. Ho sempre condiviso la mia piattaforma con uomini e donne del mio Paese. Quando le persone si uniscono, le parole, i pensieri e le azioni hanno il potere di trasformare uno spazio pubblico e far nascere una voce collettiva. Per questo progetto del Padiglione mi sono recata ad Al-Khobar, Jeddah e Riyadh per incontrare mille fra donne e ragazze, con cui ho organizzato sessioni profonde e intense, da cui si é sviluppato il mio lavoro. Abbiamo cantato, disegnato, scritto su come i media ci ritraggono, su che cosa viene messo in risalto e per quali ragioni e su che cosa viene oscurato e perché. Quando le donne si riuniscono, lo spazio ha un grande potere. Ma è anche molto confortante. Gli spazi guidati dalle donne sono sempre stati una parte importante della mia vita, per me è naturale che le mie opere d’arte nascano da lì.
Attualmente è impegnata in un progetto di arte pubblica ad AlUla, nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, che coinvolge la comunità locale. Può anticiparci di che cosa si tratta?
Si intitola «Oasis of Stories» ed è una commissione per Wadi AlFann, una nuova destinazione per la Land art che aprirà nei prossimi anni. Ho lavorato con le comunità di AlUla per raccogliere narrazioni che riflettessero le loro vite, culture e identità. Ho condotto laboratori con insegnanti, studenti, agricoltori, artigiani, cuochi, guardie forestali; a oggi sono stati coinvolti settecento partecipanti ai quali ho chiesto di disegnare su carta le loro storie personali. Queste hanno spaziato tra le case, i quartieri, i ricordi e le storie familiari dei partecipanti, la flora, la fauna, le usanze culinarie e le espressioni creative astratte. I disegni saranno poi incisi sulle pareti di «Oasis of Stories», un’installazione labirintica che inviterà i visitatori a camminare attraverso i suoi passaggi. AlUla è una biblioteca di storie. È intrisa di narrazioni e identità che si sono sviluppate nel corso dei secoli da numerose civiltà, se ne possono ancora vedere le tracce nell’arte antica incisa nelle rocce, che ci racconta come vivevano. Queste lunghe storie fanno parte della memoria collettiva di AlUla, ma la storia contemporanea della regione è altrettanto importante: con la mia commissione per Wadi AlFann voglio permettere agli abitanti di oggi di lasciare la loro traccia, fornendo uno spazio per la loro narrazione, in modo che possa vivere in modo permanente per le generazioni future da contemplare.
Tornando al suo progetto per la Biennale, il titolo lascia intuire un ruolo significativo per il carattere sonoro dell’opera. La musica, la voce e il suono sono stati fondamentali nelle sue opere precedenti. La performatività è la chiave per una rivoluzione?
In «Shifting Sands: A Battle Song», ho incorporato il canto delle donne che hanno partecipato ai tre workshop e le parole delle loro dichiarazioni, che vanno poi a legarsi alle registrazioni delle sabbie che si muovono nel deserto saudita. Il suono è fondamentale nella mia installazione: è uno strumento invisibile che occupa lo spazio. È il suono delle donne saudite che si proclamano coraggiosamente.
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