Incuneata tra la mostra «Architettura instabile» a cura dello studio newyorkese Diller Scofidio + Renfro (Ds+R) e l’intervento di Dante Gabriele Ferretti in «Passeggiate romane», l’esposizione dei lavori dei tre artisti finalisti del MaXXI Bulgari Prize 2024 sembra, anche concettualmente, porsi a metà tra questi due poli: da un lato l’italianità di un premio rivolto ai giovani artisti nati nella Penisola, dall’altro l’internazionalismo globale e la volontà di mettere in discussione dogmi prestabiliti. I lavori di Riccardo Benassi (Cremona, 1982), Monia Ben Hamouda (Milano, 1991) e Binta Diaw (Milano, 1995), infatti, occupano in maniera compatta e solenne la sala Gian Ferrari posta tra la Galleria 1 e la Galleria Kme (ex Galleria 2), facendo immergere lo spettatore in un’atmosfera densa di emozioni, per certi versi inquietanti.
Se il primo, con la sua «Assenzahah Essenzahah» ha deciso di sfruttare l’enorme montacarichi del museo per collocarvi due cani robotici che si muovono nello spazio accompagnati da un componimento musicale (più correttamente: «musica da ascensore») e da un testo laser proiettato sulle pareti; la seconda ha creato una parete inclinata in ferro, composta da dieci pannelli intagliati a laser con motivi ispirati alla calligrafia islamica e alle moschee: «Theology of Collapse (The Myth of Past) I-X». Binta Diaw, infine, con «Juroom ñaar», ha costruito una grande stanza cilindrica completamente nera, al centro della quale si ergono sette colonne di carbone mentre, da diversi speaker, fuoriescono suoni, voci e canti in lingua Wolof. Un’ultima sala, pensata come reading room e allestita con disegni, immagini, video e documenti, permette di conoscere meglio il percorso e le scelte dei tre artisti selezionati leggendo, ascoltando le loro voci od osservando i materiali progettuali.
Giunto alla sua quarta edizione, il MaXXI Bulgari Prize (proseguimento con altro nome di quello che fu il Premio per la Giovane Arte italiana, poi Premio Italia, istituito nel 2000), si conferma come uno degli appuntamenti più importanti per sondare l’arte emergente del nostro Paese ma, soprattutto, una tappa importantissima per la carriera dei partecipanti. Tra i partecipanti alle precedenti edizioni: Yuri Ancarani, Giorgio Andreotta Calò, Vanessa Beecroft, Rossella Biscotti, Lara Favaretto, Marinella Senatore, Nico Vascellari, Francesco Vezzoli, Tomaso De Luca e Diego Marcon.
Annunciati lo scorso autunno durante un evento speciale presso l’Ambasciata d’Italia a Parigi, e selezionati da una giuria internazionale composta da Nicolas Bourriaud, Diana Campbell, Andrea Lissoni e Ute Meta Bauer oltre al direttore artistico del MaXXI Francesco Stocchi, i finalisti di quest’anno hanno lavorato a tre opere installative che ben sintetizzano la loro ricerca. Benassi si muove, infatti, sempre ai margini delle relazioni tra corpi, suoni, sensazioni e nuova tecnologia; come scrive Andrea Lissoni nel catalogo pubblicato da Quodilibet: «Non si guarda un’opera di Riccardo Benassi, mai. Piuttosto la si incontra, la si attraversa, la si penetra, la si ascolta, la si esperisce, eventualmente la si balla», e in questo caso a ballare sono due, un po’ angoscianti, cani robot. Ben Hamouda, figlia di un famoso calligrafo islamico tunisino, continua a utilizzare spezie come paprika, ibisco e cannella che, applicate su lastre installate a parete, sembrano diventare la ruggine di un muro di metallo il quale, collassando, rievoca la fragilità delle identità contemporanee. Infine, Binta Diaw, anche lei facente parte della cosiddetta «seconda generazione», torna a confrontarsi con le sue origini senegalesi rievocando una storia avvenuta nel 1819 nel villaggio di Nder, quando sette donne preferirono darsi fuoco piuttosto che cadere in schiavitù in seguito dell’invasione dei Mori. Dalle sette colonne in carbone emergono lunghe trecce nere, elemento che, come sottolinea Diana Campbell sempre nel catalogo, sono «un motivo che ritorna in quasi tutta l’opera di Diaw, [rendendo] omaggio alla forza di una delle prime forme di legame femminile e alla bellezza che nasce dalla solidarietà tra le donne (da sole è un po’ difficile creare dei disegni complessi con le treccine)».
«I progetti dei tre artisti sono una sintesi della storia contemporanea raccontata in tre tempi: futuro, presente e passato, ha dichiarato la curatrice della mostra Giulia Ferracci. Il futuro come una tensione all’immortalità è raccontato da Riccardo Benassi nell’intreccio tra corpo umano e ultratecnologico; Ben Hamouda scolpisce il collasso del presente storico, religioso e istituzionale nei dieci pannelli che lei stessa “purifica” mediante l’utilizzo delle spezie; Binta Diaw richiama l’attenzione contro ogni abuso di potere nei segnali della resistenza di alcune donne morte nell’Ottocento in Senegal in difesa della propria dignità e libertà. Non si può definire un’edizione del Premio meglio di un’altra, ma senza dubbio questa s’impone per la qualità e la forza dei contenuti».
Come ogni anno il vincitore, che verrà proclamato il 17 gennaio (come nelle precedenti edizioni, anche questa volta i visitatori possono esprimere una preferenza per l’opera da loro più apprezzata), entrerà a far parte della collezione del MaXXI. Quest’anno il Premio si arricchisce di una novità: proprio il giorno della proclamazione, infatti, Roberto Fassone (Savigliano, 1986) presenterà nella hall del Museo il progetto «And we thought» (2021-in corso), una produzione Sineglossa che ha ricevuto la menzione speciale per il MaXXI Bulgari Prize for Digital Art. Un’ulteriore conferma di come questa iniziativa, che prevede anche una serie di incontri pubblici con gli artisti, sia diventata qualcosa di più della semplice restituzione di una competizione artistica.