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Chiara Barbato
Leggi i suoi articoliIntorno alla figura di Benvenuto Cellini, scultore, orafo, musico e scrittore nato a Firenze il 3 novembre del 1500 e nella stessa città scomparso il 13 febbraio 1571, non sono certo mancate dichiarazioni e testimonianze varie, a partire da quelle consegnateci dai suoi contemporanei. «Animoso, fiero, vivace, prontissimo e terribilissimo», lo descriveva Giorgio Vasari nelle sue celebri «Vite», non senza una malcelata punta di invidia, mentre il colto letterato Annibal Caro ne denunciava scandalizzato la massima arroganza e smoderatezza anche di fronte al più autorevole degli interlocutori.
«Ardito nel parlare», ribadiva infatti tempo dopo lo scrittore Filippo Baldinucci, e incline «a menar le mani e usare la mazza tonda con tutti», affermazione che non lascia dubbi su quali fossero le impellenze di un temperamento così irascibile e rissoso. A trasmetterci, tuttavia, il resoconto più vivido dell’avventurosa esistenza di Cellini è stato il diretto interessato che, componendo la propria autobiografia sulla soglia dei sessanta, nei mesi trascorsi ai domiciliari con un’accusa di sodomia, provò a riabilitarsi agli occhi del duca Cosimo I, segnalandosi tra i primi artisti della storia che abbiano cercato ancora in vita di alimentare il mito di se stesso.
È proprio mettendo a frutto le suggestioni derivate da questa narrazione, densa di eventi e di colpi di scena, che lo studioso Alessandro Masi ha elaborato e dato alla luce il volume «Vita maledetta di Benvenuto Cellini» (Neri Pozza). Come il precedente lavoro dell’autore su Giotto, uscito per lo stesso editore lo scorso anno, questo libro è più che una semplice biografia romanzata, trascinando il lettore nel mezzo di un coloratissimo affresco dell’epoca e lungo un viaggio tra i luoghi che ebbero la fortuna (e a volte la sfortuna!) di vedere attivo Cellini: la Firenze medicea e la Roma di Clemente VII e Paolo III, ma anche la Parigi di Francesco I, il sovrano per il quale realizzò uno dei suoi iconici capolavori, la saliera d’oro e smalto ora al Kunsthistorisches di Vienna.
Ciascuno degli agili e incalzanti capitoli dell’opera corrisponde a un passaggio saliente dell’itinerario umano e professionale dell’inquieto artista: dalla nascita sotto il segno astrologico dello Scorpione alle ribellioni giovanili - contro il padre, in particolare, che lo avrebbe voluto valente musicista, ma anche contro maestri, colleghi e committenti incrociati lungo il suo percorso -, dai suoi amori scabrosi alle frequenti risse, all’episodio del Sacco del ’27, durante il quale Cellini difese eroicamente le mura di Castel Sant’Angelo, quella stessa fortezza prigione in cui più tardi, dopo l’ennesimo inconveniente con la giustizia, si troverà ad essere rinchiuso e dalla quale riuscirà a fuggire rocambolescamente. Fino all’incarico più importante, giunto quasi a suggello della propria produzione artistica, ricevuto dal duca di Firenze per il bronzeo Perseo della loggia dei Lanzi, eseguito, a suo dire, tra inumane fatiche in un inferno di febbri e fiamme.
Tutte questo Benvenuto Cellini, abilissimo e raffinato creatore di forme, protagonista di una stagione di strenua eleganza e di violente passioni, riporta nella sua autobiografia, e tutto questo nel suo volume Masi rievoca pienamente. Perché, come si legge nelle apologetiche pagine del proemio celliniano: «tutti gli uomini d’ogni sorte, che hanno fatto qualche cosa che sia virtuosa, o sí veramente che le virtú somigli, doverieno, essendo veritieri e da bene, di lor propia mano descrivere la loro vita».
«Vita maledetta di Benvenuto Cellini»,
di Alessandro Masi, 240 pp., Neri Pozza, Milano 2023, € 19,00

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