Si credeva opera di Agostino Fasolato (1714-87), invece l’autore è Francesco Bertos, scultore apprezzatissimo al suo tempo, nei primi decenni del Settecento, da una vasta platea di nobili committenti, dai Savoia a Pietro il Grande, caduto nel dimenticatoio insieme al deprezzamento della scultura barocca iniziato con il Neoclassicismo, ora ritornato all’interesse dei collezionisti e nei maggiori musei europei e d’oltreoceano.
Quella virtuosissima «Caduta degli angeli ribelli», appunto creduta di Fasolato, è tornata nel catalogo di Bertos grazie all’attribuzione di Simone Guerriero e Monica De Vincenti, curatrice insieme a Fernando Mazzocca della mostra che le Gallerie d’Italia di Vicenza dedicano all’artista, la prima, nel museo di Intesa Sanpaolo a Palazzo Leoni Montanari dal 11 ottobre al 9 febbraio 2025. «Un’occasione unica per farlo conoscere al grande pubblico, ma anche agli studiosi al di fuori della nicchia a cui era già noto, spiega Mazzocca. Il percorso espositivo è finalizzato all’apparizione finale di quell’incredibile capolavoro, frutto di un sorprendente virtuosismo che fa sembrare le figure del gruppo come se stessero effettivamente cadendo dal cielo. Un’opera ineguagliabile, preceduta in mostra da altre dell’autore, in marmo e bronzo, allegoriche o ispirate al mito, in gara con le figure senza peso dei soffitti prospettici. Anche per il tema scelto, tradizionalmente trattato più nei dipinti a partire dalle miniature medievali, abbiamo cercato di ricreare il contesto in cui Bertos operava scegliendo molte opere pittoriche, da Ricci a Tiepolo, mentre per la scultura il suo virtuosismo affonda le radici nella cultura tardorinascimentale di Giambologna presente con alcune opere».
Un tema, quello dei ribelli a Dio guidati da Lucifero contro cui combatte l’arcangelo Michele, che ritorna anche nella letteratura, da Dante a John Milton, motivo per cui la «Caduta degli angeli ribelli» ha fatto la sua prima apparizione pubblica con la nuova attribuzione, accanto a Rodin, nella mostra «Inferno» alle Scuderie del Quirinale per i settecento anni della morte del Sommo. «L’opera è talmente complessa anche dal punto di vista conservativo, un blocco unico di marmo in cui si muovono sessanta figure, ricche di riferimenti allegorici, che Fasolato non sarebbe potuto arrivare a un simile livello, spiega Monica De Vincenti, storica dell’arte specializzata sulla scultura veneta barocca e tardobarocca. Portarla a Roma nel 2021 ha rappresentato una vera e propria sfida. Realizzata per la famiglia Trento di Padova, acquisita poi dai Papafava, entrata nelle collezioni della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo nel 1972, da qui arriva nel 2003 nelle collezioni di Intesa Sanpaolo. A Palazzo Montanari è di nuovo valorizzata con una speciale illuminazione e un video immersivo per restituirla a quella fama che attirava a Padova visitatori illustri, come Melville ad esempio, o meno illustri che ne raccontavano la meraviglia nei loro resoconti di viaggio».
La mostra di Vicenza ricostruisce l’identità non solo artistica, ma anche umana di Francesco Bertos: «Una figura ancora molto misteriosa, di cui non si conoscono il luogo e le date di nascita e di morte e di cui a un certo punto, dopo il trasferimento a Torino, si perdono le tracce: le ricerche compiute per questa mostra, con la nuova documentazione reperita, hanno fatto compiere molti progressi, ma molto è ancora da fare. Le carte conservate da uno dei suoi collezionisti del tempo, il maresciallo Von Schulenburg, avvallano il fatto che l’Inquisizione si sia scomodata per Bertos a causa della sua estrema bravura, dietro l’ipotesi di un patto col diavolo. Per l’ambito scelto si tratta di una mostra rara, a mio parere lungimirante e coraggiosa», conclude De Vincenti.