Julia Halperin
Leggi i suoi articoliNew York. Bill de Blasio, nato nel 1961 a New York e di origine italiana, è il nuovo sindaco della città. Succede a Michael Bloomberg (Boston, 1942, dal 2014 annunciato presidente della Serpentine Gallery di Londra), in carica per 12 anni e, alla prova dei fatti, grande sostenitore delle arti nella Grande Mela. Lecito chiedersi quindi che ne sarà ora di tale eredità, anche perché nel programma elettorale del neo sindaco la parola «art» non compare neanche una volta e molti, come Anne Pasternak, presidente di Creative Time, associazione che si occupa di arte pubblica, sono scettici: «Sarebbe molto poco saggio da parte di qualsiasi organizzazione culturale non profit non iniziare fin da ora a cercare strategie di finanziamento alternative a quelle pubbliche». Di certo sarà difficile tenere il passo con quanto realizzato da Bloomberg in ambito culturale. In totale il magnate-sindaco ha speso ben 3 miliardi di dollari in iniziative culturali, a volte anche di tasca propria, convinto che le arti fossero un volano decisivo per l’economia: fra le molte, il Culture Shed (50 milioni di dollari, 37 milioni di euro), un centro per le arti multidisciplinare che aprirà nel 2017, il Bam Cultural District, legato alla Brooklyn Academy of Music, o i progetti di arte pubblica come «The Gates» di Christo e Jeanne-Claude. Non solo luci però sul governo di Bloomberg. Se da un lato ha incentivato la realizzazione di infrastrutture, dall’altro ne ha poi tagliato i fondi per la gestione quotidiana, come nel caso del Queens Museum of Art, i cui 68 milioni di dollari (50 milioni di euro ca) per la ristrutturazione sono arrivati per il 30% dalla città, mentre la stessa ne diminuiva il budget per le spese ordinarie di 110mila dollari (81mila in euro ca) in quattro anni. O come, sostengono ancora i detrattori, lo sbilanciamento tra le erogazioni, che hanno visto penalizzati progetti culturali legati alle comunità più svantaggiate (working class, neri, immigrati) e più duramente colpite dalla crisi.
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