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Phiale apula a figure rosse con la rappresentazione di Andromeda incatenata e di Niobe pietrificata attribuita al Gruppo del Pittore di Arpi (315-300 a.C.)

Foto: Museo Archeologico Nazionale di Canosa

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Phiale apula a figure rosse con la rappresentazione di Andromeda incatenata e di Niobe pietrificata attribuita al Gruppo del Pittore di Arpi (315-300 a.C.)

Foto: Museo Archeologico Nazionale di Canosa

Canosa di Puglia: lavori di pubblica utilità per chi commette reati contro il patrimonio

È stato da poco rinnovato il protocollo triennale tra la Fondazione Archeologica Canosina e il Tribunale di Trani che mira a ricucire lo strappo causato dalla depredazione del patrimonio

Massimiliano Cesari

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I siti archeologici italiani sono da sempre terreno di caccia di tombaroli e altri soggetti che si muovono nel settore del commercio illegale di reperti archeologici, fenomeno che ha portato, nel corso del tempo, a un grave depauperamento del patrimonio culturale. Il mercato dei reperti trafugati, che già da un po’ costituisce il core business dell’archeomafia, è gestito da organizzazioni criminali che nel traffico illegale di opere d’arte vedono una fonte importante di guadagno. La trafila illegale inizia proprio dai tombaroli, i primi saccheggiatori dei siti, passando poi dai committenti ai ricettatori, che hanno il compito di piazzare i pezzi sul mercato clandestino, e, infine, ai compratori. Spesso ritroviamo le opere trafugate nelle teche di importanti musei, come dimostrano le numerose restituzioni che nel corso degli anni, grazie ai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio culturale (Tpc) e al MiC, hanno permesso a veri e propri capolavori di ritornare in Italia.

In Puglia, come si legge nel report delle attività operative 2023 svolte tra Puglia e Basilicata dal Nucleo Carabinieri Tpc di Bari, è stato possibile restituire allo Stato più di 8mila beni culturali, di cui oltre l’80% sono reperti archeologici, altrimenti destinati alla sparizione; un recupero di beni culturali per un valore di 4 milioni di euro. Di particolare rilevanza l’inchiesta «Canusium», coordinata dalla Procura di Trani, che ha consentito il recupero di numerosi reperti e lo smantellamento del traffico internazionale di beni archeologici e numismatici, applicando ben 21 misure cautelari a soggetti coinvolti nelle azioni illecite ai danni del patrimonio archeologico.

Parallelamente, la Procura di Trani promuove il recupero sociale di chi ha commesso reati contro il patrimonio, attraverso lavori di pubblica utilità come manutenzione, accoglienza dei visitatori e affiancamento ai professionisti che operano nei siti archeologici di Canosa di Puglia (Bari-Andria-Barletta). Il rinnovo del protocollo triennale tra la Fondazione Archeologica Canosina (Fac) e il Tribunale di Trani sancisce questa iniziativa, offrendo a sei persone, tra cui un ex tombarolo, la possibilità di reinserirsi nella società contribuendo alla tutela dei beni culturali. Come hanno ricordato il Procuratore Renato Nitti e il presidente della Fac, Sergio Fontana, il progetto mira a ricucire lo strappo causato dalla depredazione del patrimonio, trasformandolo in un’opportunità di riscatto e di gestione innovativa del patrimonio culturale.

Askòs policromo, con testa femminile in rilievo e cavalli alati dipinti sui fianchi, sormontato da una figura maschile dal corpo serpentiforme e due teste di cigno (fine del IV sec. a.C.). Foto: Museo Archeologico Nazionale di Canosa

Massimiliano Cesari, 05 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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