Caro Gaggero,
quella che vedi è una stazione della Polizia. Cioè in questo posto ci sono gli addetti pubblici che hanno il compito di far rispettare l’ordine delle leggi vigenti. Forse la forma dell’edificio vuole rappresentare questo messaggio, ma io non lo capisco: non parlo georgiano. Tutto intorno ci sono case di pietra, sempre uguali dal Medioevo ad oggi. Se non ci fossero cavi elettrici e automobili diresti che il paesaggio è ameno… Salvo quel tozzo di cemento che sorge in una piazza nella quale ancora pascolano le mucche. Prova tu a farmi capire che cosa mi sfugge. [Luccardini]

Caro Luccardini,
in realtà è già sfuggito. E non c’è da capire ma da constatare. Le didascalie per questo palazzo recitano più o meno che si tratta di un «moderno» edificio. Compare sempre la parola «moderno», come un mantra. Forse è segno di provincialismo. Certo che «moderno» è una parola ormai vecchia, oggi si usa «contemporaneo»: today, now. Noi, ormai scafatissimi contemporanei occidentali, non ci stupiamo più di niente, viviamo l’istante. Le relazioni sono un appesantimento che ci distrae dall’istante. Richiamano inutili echi del passato e pongono sterili domande sul futuro. La sorpresa, lo sconcerto sono lussi che l’istante non può permettersi. La sorpresa non ci sorprende. In fondo la sorpresa è la cifra nascosta del contemporaneo che non ammette che il successo stia nella sorpresa suscitata: al massimo concede una certa considerazione allo sforzo. Resta però sempre il mistero del disturbo: è vero che ci aspettiamo qualsiasi cosa ma, nonostante l’apoteosi dell’indifferenza, lì per lì titubiamo. Sia chiaro non per l’architettura bislacca ma perché ci viene il dubbio che forse il palazzo potrebbe avere qualche realzione o funzione con la compresenza dei bovini. [Gaggero]