Cristina Ruiz
Leggi i suoi articoliI collezionisti privati che creano musei e fondazioni sono «narcisisti» e le loro gallerie non sono altro che espressione di vanità. Questo il pensiero della storica dell’arte Patricia Falguières espresso recentemente in una conferenza alla Fondation Louis Vuitton di Parigi. «Le istituzioni pubbliche non avranno i mezzi finanziari dei soggetti privati ma questo non dà ai collezionisti il potere di riscrivere la storia dell’arte», prosegue la studiosa in una dura accusa ai musei gestiti da collezionisti. Il fatto che l’attacco sia stato sferrato proprio nell’auditorium dell’edificio di Frank O. Gehry nel bois de Boulogne, inaugurato lo scorso ottobre (cfr. n. 346, ott. ’14, p. 4), che ospita le opere della Fondation Louis Vuitton (creata dal magnate dei beni di lusso Bernard Arnault), è una testimonianza del coraggio di Suzanne Pagé, direttrice della fondazione. È stata proprio lei a spiegare come abbia dovuto confrontarsi con i molti e sempre più rilevanti aspetti del mutevole mondo dell’arte attuale. Chi scrive oggi la storia dell’arte? Qual è il ruolo del mercato? E come possono istituzioni pubbliche e musei privati lavorare insieme? Tra gli oratori che hanno sostenuto il primato dei musei pubblici, il direttore uscente della Tate Modern, Chris Dercon, ha individuato nella sostenibilità la differenza principale tra musei finanziati dallo Stato e quelli gestiti privatamente. «Sono pochi secondo me i musei privati consapevoli di ciò che faranno tra 50 o 100 anni», afferma Dercon, aggiungendo che molti collezionisti comprano opere di artisti popolari sul mercato ma che saranno sempre evitati da musei pubblici e dalle mostre prestigiose come Documenta.
Budget irrisori
Bernard Blistène, il nuovo presidente del Centre Pompidou di Parigi, ha dichiarato che «molta arte contemporanea è diventata famosa nonostante e a scapito dei musei e dobbiamo ammetterlo». Blistène ha sottolineato la difficoltà di comprare arte per un’istituzione statale. «Il nostro budget annuo per l’acquisizione è di 1,2 milioni di euro; bastano appena per comprare un acquerello di Elizabeth Peyton. È una situazione assurda, non siamo nella posizione di crescere».
La situazione è aggravata dal fatto che «gli artisti raramente donano opere alle istituzioni», come dichiara il curatore indipendente Francesco Bonami. Invece, musei pubblici come la Tate si vedono spesso offrire opere da collezionisti costretti dai galleristi. Alcuni mercanti vendono ai collezionisti privati soltanto a patto che accettino di acquistare due edizioni di un’opera: una per loro, l’altra per un museo prestigioso. Il problema è che «vogliono darci le opere degli artisti che noi non vogliamo affatto», dice Dercon.
Nonostante queste sfide, Blistène crede che i problemi di molti musei privati che stanno aprendo in giro per il mondo siano anche maggiori: «I collezionisti privati son più preoccupati di aver qualcosa da dire di quanto lo siano le collezioni di aver qualcosa da comprare».
Il potere del mercato
Le gallerie commerciali hanno un ruolo importante in tutto questo, afferma Mark Francis, uno dei direttori della Gagosian Gallery. Le gallerie finanziano la produzione di nuove opere, aiutano gli artisti e organizzano importanti mostre pubbliche. Contribuiscono anche alla scrittura della storia dell’arte. «Il modo in cui un canone viene stabilito è attraverso il consenso per ogni singolo momento», ha detto: un consenso in questo caso tra gallerie commerciali, musei pubblici e collezionisti. Ovviamente, più è grande la galleria e maggiore sarà il potere. «Da Gagosian pubblichiamo 40-50 libri ogni anno, siamo uno degli editori d’arte più grandi al mondo», afferma Francis, aggiungendo che professionisti rispettati, come il biografo di Picasso John Richardson, organizzano mostre per la galleria. Il collezionista belga Alain Servais ha ammesso che molti musei gestiti da collezionisti non son partiti sotto i migliori auspici ma, sul lungo termine, «speriamo che l’arte prevarrà». Ha citato il Garage Museum of Contemporary Art di Mosca di Dasha Zhukova, riaperto a giugno in un padiglione dell’epoca sovietica ristrutturato da Rem Koolhaas, che «ha iniziato come un’appendice della galleria Gagosian» per poi evolvere in una realtà molto più interessante.
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