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Un particolare degli affreschi di Piero della Francesca con «La Leggenda della Vera Croce»

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Un particolare degli affreschi di Piero della Francesca con «La Leggenda della Vera Croce»

Come i contemporanei vedevano Piero della Francesca

Un libro per capire lo sguardo di pellegrini, legnaioli e potestà verso gli affreschi del maestro

Marco Bussagli

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Ho sempre pensato che partire da un altro punto di vista per considerare un tema o un problema culturale sia assolutamente salutare. Se poi chi promuove questa nuova prospettiva non appartiene alla disciplina di riferimento (qui la Storia dell’Arte), tanto meglio.

D’altra parte, senza fare pare paragoni impropri, Heinrich Schliemann era un commerciante, Carlo Emilio Gadda ingegnere e Paolo Conte avvocato. Marco Mendogni, estraneo al campo, ha scritto un volume dall'approccio inusuale, ponendosi al posto dei contemporanei di Piero della Francesca, per capire come essi potessero vedere gli affreschi del maestro.

La prima parte del libro è dedicata a ricostruire quali fossero allora le condizioni della Chiesa di San Francesco ad Arezzo, progettata da Johannem de Pistorio magistrum cementarium, discepolo di Frate Elia, fra i primi seguaci di San Francesco. Si scopre, così, che la grande navata era interrotta da un muro di tramezzo che isolava presbiterio e abside dal resto della chiesa.

Questo vuol dire che la vista della Cappella Maggiore era preclusa ai più e senz’altro a coloro che entravano nel sacro edificio per una preghiera. A ridurre nelle condizioni attuali la navata è stato l’ingegner Tavanti nei primi anni del ‘900, quando si cercava di recuperare lo stato originario dell’opera che all’interno, all’epoca di Piero, era tutta affrescata.

Tutto questo porta l’autore a una riflessione sul valore didascalico, educativo e salvifico delle immagini. Mendogni ripercorre la diatriba degli iconoduli e degli iconoclasti, composta a favore dei primi con il Concilio Niceno II del 787, e recupera l’insegnamento di Gregorio Magno e il valore della Biblia Pauperum. Stabilite queste premesse, il libro ci fa percepire le coloratissime pitture di Piero non più come opere d’arte, ma come oggetti di devozione quali, in realtà, erano.

Si possono così leggere due capitoli assai istruttivi. Uno dedicato allo «sguardo del pellegrino e del legnaiolo» (dove il primo è un patrizio veneziano di nome Zaccaria coinvolto nella mancata crociata di Pio II, mentre il secondo è un devoto di fantasia) e l’altro a quello di Bernardo di Giannozzo Manetti, potestà di Arezzo per conto di Firenze nel 1489, presi come esempi delle sensibilità popolaresche e signorili.

Seguono le analisi delle scene nei vari affreschi, segnalando influssi, relazioni e variazioni rispetto al testo di riferimento di Jacopo da Varazze. Infine, l’autore si esercita nell’identificazione dei personaggi del ciclo aretino e, fra le proposte compiute, avanza una plausibile relazione tra l’affresco dell’«Incontro della regina di Saba con re Salomone» e il «Matrimonio di Baccio di Francesco Bacci con Antonia di Francesco del fu Bivigliano Alberti», testimoniato il 26 giugno 1454 dal notaio.

La Veneranda pittura della Vera Croce di Piero della Francesca, di Marco Mendogni, 136 pp., ill., Pontecorboli, Firenze 2019, € 16,80

Marco Bussagli, 03 marzo 2020 | © Riproduzione riservata

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