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Bernard Marcelis
Leggi i suoi articoliAl di là del titolo festoso, che lo inserisce perfettamente nel tema «Fiesta» della settima edizione di Lille3000, «Feste e celebrazioni fiamminghe. Brueghel, Rubens, Jordaens... », in corso fino all'1 settembre al Palais des Beaux-Arts di Lille, è un’ambiziosa e straordinaria mostra che, attraverso le festività pubbliche, immerge il visitatore nell’autentica vita sociale del Cinque e Seicento nei Paesi Bassi antichi, un territorio che allora comprendeva le città di Arras, Cambrai, Valenciennes e Lille, in Francia, così come quelle di Anversa, Gand, Bruxelles e Namur, in Belgio.
Ci si rende così conto che molte tradizioni di quel periodo risuonano ancora oggi, facendo eco alle attuali uscite annuali dei giganti, alle fiere, alle «ducasse» (feste popolari del Belgio e del Nord della Francia, spesso associate a processioni religiose o festeggiamenti folcloristici, Ndr), alle cerimonie dell’«albero di maggio» o all’Ommegang di Bruxelles, anche se questo corteo folcloristico è soprattutto una ricostruzione storica (nata come processione religiosa, è divenuta una rievocazione dell'ingresso di Carlo V a Bruxelles nel 1549, con personaggi in costumi d’epoca, cavalieri, e rappresentazioni teatrali, Ndr).
Realizzata in stretta collaborazione con il Musée du Louvre di Parigi e i Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles, la mostra beneficia di prestiti da prestigiose istituzioni straniere, come il Rijksmuseum di Amsterdam, il Prado di Madrid e il Kunsthistorische Museum di Vienna. È così possibile ammirare e comprendere nel loro contesto opere di primo piano di Pieter Brueghel il Vecchio, Pieter Brueghel il Giovane, Pieter Paul Rubens, Jacob Jordaens, David Teniers e molti altri maestri della scuola fiamminga.
Un tripudio di colori, composizioni dense, formati talvolta fuori dal comune, fino a raggiungere sontuose vedute panoramiche: tutti i dipinti dispiegano diversi livelli narrativi che i curatori hanno sviluppato in quattro sezioni di varia importanza. Le feste sono evocate attraverso il prisma delle guerre, delle prestigiose cerimonie urbane (come le «Joyeuses Entrées»), delle fiere e delle altre festività paesane come i matrimoni e, infine, delle feste di corte reale; quest’ultima sezione è costruita attorno a una versione del famoso dipinto «Il re beve» (1638-40 circa) di Jacob Jordaens. Queste scene di banchetti e festeggiamenti di ogni genere hanno finito per formare un genere pittorico a sé stante, con i suoi codici, i suoi messaggi e i suoi innumerevoli dettagli coloriti che conferiscono loro un’innegabile autenticità.
Il periodo tra il XVI e il XVII secolo, che vede nascere queste festività, è segnato dalla Guerra degli ottant’anni (1568-1648), che ha profondamente influenzato queste regioni, già regolarmente colpite da epidemie e carestie. Le feste, in prevalenza estive, costituivano quindi uno sfogo benvenuto in un contesto di lunghe crisi, tanto più in un'epoca in cui la Chiesa e lo Stato esercitavano un’influenza considerevole su una società gerarchizzata e ancora corporativista.
Le molteplici rappresentazioni di celebrazioni e manifestazioni popolari mostrano anche come il potere clericale cercasse di regolare gli eccessi festivi, mentre il potere secolare talvolta se ne avvale per affermare la propria autorità (come nel caso delle cerimonie con grandiose scenografie monumentali delle Joyeuses Entrées) o per mostrarsi vicino al popolo (come quando gli arciduchi Alberto e Isabella d’Asburgo si invitano a matrimoni rurali).
La mostra, dall’allestimento curatissimo, curata, si rivela molto più complessa e densa di quanto il titolo possa far supporre. Ed evidenzia già le profonde differenze culturali e sociali tra le feste di paese e le loro controparti urbane.