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Bendor Grosvenor
Leggi i suoi articoliVorrei proporre un nuovo termine collettivo per i mercanti di Old Masters: una lagna. Ci lamentiamo praticamente di tutto, tranne che dei nostri stock. Se molti amano lamentarsi del «mercato», alcuni ne proclamano persino la morte imminente. Per esempio, il mercante londinese Edmondo di Robilant nel 2015 ha sentenziato sul «New York Times»: «La gente non va più in galleria, e non compra dipinti antichi». E parlando con Bloomberg, Richard Feigen, eminenza grigia dei mercanti newyorkesi, ha detto: «Questi personaggi dei fondi speculativi non compreranno dipinti antichi, anche se viene loro detto che i prezzi sono molto inferiori a quelli dell’arte contemporanea».
Inevitabilmente, questi sentimenti vengono raccolti dai media, per cui il declino degli antichi maestri fa da contraltare al boom dell’arte contemporanea: il nuovo contro il vecchio. Secondo «The Economist» ora «i compratori hanno da un po’ di tempo perso interesse» nei confronti dell’arte antica. Ma l’hanno davvero perso? Se così fosse, perché un dipinto del XVII secolo di Orazio Gentileschi, che non è certo un nome di spicco, è stato venduto a gennaio da Sotheby’s a New York per 30 milioni di dollari? Il quadro è stato acquistato dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles, ma a contenderselo c’erano anche un nuovo collezionista asiatico e persino un finanziere (probabilmente una sorpresa per il venditore, il succitato Richard Feigen).
Il maggior cambiamento per il mercato è stato l’introduzione di una trasparenza senza precedenti sui prezzi, grazie a internet. Tale trasparenza, negativa per gli intermediari di qualsiasi mercato, ha avuto un impatto devastante su quei mercanti che tradizionalmente agivano da rivenditori, acquistando stock all’asta. Oggi, invece, un collezionista può vedere un’opera in una galleria e, con un semplice tocco sullo smartphone, sapere in 30 secondi quanto il mercante l’ha pagata. In queste circostanze persino un modesto ricarico può sembrare un oltraggio agli occhi di un privato.
Inevitabilmente molti collezionisti pensano di poter fare migliori affari all’asta. Di conseguenza si è verificato un cambiamento del mercato nei rapporti di forza tra mercanti e case d’asta, che a loro volta si sono rivolte ai compratori privati come conseguenza del loro (fortunato) cambio di status, da grossisti a dettaglianti. I collezionisti privati rappresentano oggi l’80% dei compratori di Old Masters da Sotheby’s, una percentuale che aumenta di anno in anno (Christie’s non fornisce una statistica corrispondente). Si aggiungano altri fattori come il repentino aumento degli affitti a Londra e New York, ed ecco la tempesta perfetta per i mercanti. In molti hanno chiuso o si sono trasferiti in sedi più abbordabili, ma meno visibili; e alcuni si consolano accusando «il mercato» del loro declino.
Tuttavia, la forza crescente delle case d’asta ha avuto conseguenze inaspettate, la più considerevole delle quali è la crescente volatilità del mercato. Le aste non sono un metodo efficiente per vendere beni, specialmente quando l’approccio consiste nell’ammassare centinaia di oggetti simili, lanciarli in massa sul mercato ogni sei mesi e concedere ai collezionisti solo pochi giorni per poterli vedere dal vero. In quasi tutti gli altri mercati che utilizzano le aste, che si tratti di automobili o di gioielli, esiste una base stabile di compratori professionali che determina un livellamento dei prezzi. Ma dato che è improbabile che gli odierni mercanti di arte antica facciano offerte per quadri ben documentati e registrati nei database delle società di rilevamento dati, il risultato finale è una crescente volatilità. Alcuni dipinti possono superare di gran lunga le loro stime se sono contesi tra più collezionisti, mentre altri rimangono misteriosamente invenduti.
«Ecco», osservano gli scettici, «di certo questa volatilità è prova di un crollo nella domanda». Ma in effetti non esistono prove concrete di un crollo. Ho recentemente calcolato la «spesa» totale in Old Masters da Sotheby’s e da Christie’s sia a Londra sia a New York nel corso del passato decennio, che mostra una sostanziale costanza, anche tenendo conto dell’inflazione, con un totale annuo decisamente sostenuto di 258 milioni di sterline. Le cifre rivelano un recente sorpasso di Sotheby’s rispetto a Christie’s, con la prima che ha consistentemente accresciuto la sua quota di mercato, ma nel complesso non ci sono stati né boom, né disastri.
Come sempre, comunque, il valore della pittura antica arranca. Ma per questa sola ragione: non ha senso confrontare il mercato dei dipinti antichi con i mercati dell’arte moderna e contemporanea. Se Rembrandt avesse ancora un agente preparato a far salire i suoi prezzi, o se ci fossero speculatori determinati ad accrescere il valore delle loro opere sostenendo i prezzi all’asta, allora le cose potrebbero essere diverse. Ma come dice Otto Naumann, guru tra i mercanti di antichi maestri, «non esiste un’effettiva connessione tra i due mercati. È un caso che vengano entrambi definiti arte».
Certamente i gusti cambiano. E i commentatori di mercato dimenticano che l’etichetta «Old Masters» copre quattro secoli di arte. Se i sanguinolenti quadri di santi martiri possono forse non adattarsi ai soggiorni secolari di oggi (e di conseguenza non raggiungere prezzi elevati), i fondi oro del Quattrocento e i ritratti storici europei del Cinquecento sì, e i prezzi per queste categorie sono cresciuti. Una bella figura di tre quarti di Enrico VIII, descritta come della «cerchia di Hans Holbein II», proveniente dalla collezione del duca di Hamilton, è stata venduta per 168.800 sterline nel 2005 da Sotheby’s a Londra, ma nel 2011 da Christie’s ne aveva realizzate 657.250. Più recentemente, due ritratti della «bottega di Holbein» che raffigurano sempre re Enrico, più vecchio e tarchiato, hanno realizzato rispettivamente 965mila e 821mila sterline da Sotheby’s nel 2015. I Tudor, forse aiutati da tutte quelle serie tv inglesi in costume, possono vendere molto bene. Ma rimane, in base alla mia esperienza, una domanda sostenuta di dipinti antichi interessanti, ben presentati e di qualità. Quando la gente finirà di fare la coda per vedere mostre di opere di Leonardo, e smetterà di vedere film su Vermeer, allora comincerò a preoccuparmi.
Ma ci attendono molte sfide. Nell’ambiente la questione principale è come interfacciarsi con i nuovi compratori, qualcosa che tanto le case d’asta quanto i mercanti, secondo me, non sanno fare bene. I rivenditori di alto livello hanno un’espressione per descrivere la difficoltà di attrarre gente nei loro negozi: «resistenza di soglia». Attualmente, il mercato della pittura antica ha una «soglia» grande come una casa. Non esporre i prezzi in una fiera d’arte può intimidire e respingere i potenziali nuovi clienti. Guardate il catalogo di una «day sale» di settore e non troverete molto in termini di corredo esplicativo, solo i dettagli di base e una piccola illustrazione senza la cornice. Le case d’asta potrebbero fare un grande lavoro di presentazione dei loro quadri migliori con pagine multiple di testo. Ma quanti nuovi compratori, anche quelli facoltosi, possono entrare nel mercato ai massimi livelli? Allo stesso modo, quanto è probabile che i nuovi collezionisti vadano a Maastricht dal mattino alla sera per Tefaf la più importante fiera di arte antica, dove, qualche anno fa, gli organizzatori hanno deciso di aumentare il prezzo dei biglietti allo scopo di allontanare i perditempo? Sicuramente i tempi sono maturi per una nuova fiera di riferimento per questo settore, in una città più accessibile. Una nuova fiera satellite di Tefaf recentemente annunciata a New York potrebbe aiutare, ma si ha già la sensazione che abbia l’ambizione di essere un evento solo complementare a Maastricht, e non un’alternativa. E quanti mercanti utilizzano Twitter, o hanno anche solo un accettabile sito web, o addirittura ne hanno versioni tradotte in lingue straniere? L’ambiente degli Old Masters preferisce comunicare in alfabeto semaforico, quando il resto del mondo ha Skype.
Forse dovremmo cercare rassicurazioni dall’unico settore che ha accresciuto in modo significativo il suo interesse per l’arte antica: quello dei musei. Nel 2014, un numero record di 6,4 milioni di persone ha visitato la National Gallery di Londra, che non espone arte creata dopo il 1900. Come fa la galleria a rendere appetibile questa categoria apparentemente «fuori moda» a un pubblico così ampio? Inizia con l’eliminare tutte le verbose insensatezze che molti collegano all’arte, specialmente quando cercano di venderla. Invece racconta il «dietro le quinte» degli artisti, un elemento chiave nella loro popolarità, con impegno, guardando avanti e senza sciocchezze, collegando tangibilmente le opere di artisti minori a quelle dei grandi. Alla National Gallery non troverete disprezzo per alcuni periodi o soggetti, né malignità in merito alle proprietà di altre istituzioni, e certamente nessun curatore sfiduciato che dica «a nessuno piace il nostro museo». In altre parole, il segreto del successo è potenzialmente piuttosto semplice: dimostrare entusiasmo per il proprio prodotto e fare pieno uso dei nuovi modi che l’era digitale ha messo a nostra disposizione per parlarne. Noi abbiamo a che fare, dopo tutto, con alcuni tra gli oggetti più belli mai creati dal genere umano. Non dovrebbe essere davvero difficile venderli.
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