Ricorda Bizhan Bassiri che l’epifania del suo pensiero d’artista si manifestò sul cratere del Vesuvio: sentì in quel momento che l’opera d’arte è una manifestazione dell’energia cosmica e avvertì «la condizione magmatica come fosse il sangue che circolava nelle vene, e il cervello nella sua condizione creativa». Ne nacque (era il 1984) la prima formulazione del suo «Pensiero magmatico», poi articolato nella forma di un «Manifesto del Pensiero Magmatico», tuttora in fieri, che si arricchisce di sempre nuove riflessioni.
Nato a Teheran nel 1954 ma stabilitosi sin dal 1975 a Roma, dove si è formato all’Accademia di Belle Arti con Toti Scialoja, Bassiri, che non ha più lasciato l’Italia, è entrato a far parte di quella corrente internazionale che dagli anni ’80 si riconosce, come nota Bruno Corà, nell’esperienza pittorico-plastica del «pensiero magmatico» e ha così modellato un suo universo non tanto atemporale quanto piuttosto pre-temporale, fatto, continua lo studioso, di «archetipi cosmologici e mitici»: gli stessi cui attingono tutte le culture del mondo.
Il suo lavoro, conosciuto in Italia e all’estero per le molte opere d’arte pubblica che ha realizzato, giunge ora per la prima volta a Milano nella personale «Bizhan Bassiri. Creazione», presentata da Building dal 30 gennaio al 22 marzo: una mostra di grande respiro che occupa tre piani della galleria con un progetto pensato per questi spazi e curato da Bruno Corà. Nel percorso, scandito da colori dominanti (rosso al piano terra, blu al piano superiore e infine nero), si susseguono dipinti e sculture realizzate nei più diversi materiali, coerentemente con la sua ricerca tesa a sondare la continua trasformazione della materia, da lui intesa come una «tempesta permanente».
Ecco allora, fra i diversi cicli di lavori presentati, gli «Specchi solari» del 2024: tondi di acciaio specchiante solcati da abrasioni guizzanti che, mentre negano la funzione primaria, riflettente, dello specchio, ne moltiplicano la capacità di emanare luce. Recentissime sono anche le «Particelle della Tempesta», dipinti realizzati con carta di giornale macerata in acqua con pigmenti naturali e colle, che assumono un aspetto minerale, mentre coprono quasi un quarto di secolo le «Erme», sculture che evocano sì nella forma le erme classiche ma sono sormontate da teste inconoscibili, spesso realizzate con pietra lavica: «sorelle» di quelle con cui nel 2017 Bizhan Bassiri rappresentò il suo paese d’origine nel Padiglione iraniano della 57a Biennale di Venezia.
All’ultimo piano, per Building Terzo Piano, va in scena fino al 22 febbraio «Cosmografia» di Giorgio Vigna (Verona, 1955), un percorso attraverso una dimensione cosmologica in cui l’acqua, solidificata nel vetro, gioca un ruolo primario insieme a un materiale alchemico come il rame, dando vita a opere di potente suggestione (non a caso, hanno sedotto collezionisti raffinati come Nancy Olnick e Giorgio Spanu) e hanno affascinato i visitatori di molti grandi musei internazionali.