«Donna con bandiera» (1928) di Tina Modotti, Archivi Cinemazero, Pordenone (particolare)

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«Donna con bandiera» (1928) di Tina Modotti, Archivi Cinemazero, Pordenone (particolare)

Da Camera Tina Modotti, «onesta fotografa»

Dopo la tappa a Palazzo Roverella di Rovigo, arriva a Torino la più grande retrospettiva italiana dedicata all’autrice con oltre 300 lavori

Approda a Camera Torino, dopo il successo raccolto nella tappa di Palazzo Roverella a Rovigo, «Tina Modotti. L’opera» (fino al 2 febbraio 2025), la più grande retrospettiva mai presentata in Italia dedicata a una delle figure centrali della fotografia del XX secolo. Il progetto espositivo a cura di Riccardo Costantini, promosso da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e realizzato in collaborazione con Cinemazero, mette insieme oltre 300 lavori che fanno luce sulla breve eppure intensa parabola della fotografa, documentandola anche con materiali inediti.

Nata a Udine nel 1896 e trasferitasi da giovane, con la famiglia, a San Francisco, Tina Modotti conosce una certa notorietà come attrice prima di legarsi sentimentalmente a Edward Weston, che la inizia alla fotografia. Il formalismo estetico degli esordi, chiara influenza del maestro statunitense, cede presto il passo alla fotodocumentazione, complice il trasferimento in Messico e il suo primo vero contatto con la politica. Abbandonato l’interesse per lo still life, dove l’attenzione per gli elementi di composizione e luce lasciavano già presagire il suo sguardo sul reale, la sua capacità di cogliere la fragilità e la caducità delle cose, è a partire dal 1926 che scandaglia con la sua ingombrante Graflex la condizione del popolo messicano, ridotto in miseria dopo la rivoluzione. È un approccio riflessivo il suo, basato sull’osservazione e la descrizione, ancora distante dall’agilità del fotogiornalismo che conoscerà il suo periodo d’oro nel decennio successivo. 

Raccontare la realtà umana e sociale che la circonda, narrando l’ingiustizia e l’oppressione con immagini politiche che hanno carattere di vere e proprie denunce sociali, diventa la sua priorità. Lei che ambiva a essere un’«onesta fotografa», sente impellente l’urgenza di registrare quello che accade davanti ai suoi occhi. La sua ricognizione accusatoria trova ampia diffusione sulla rivista «El Machete», fondata dai muralisti Diego Rivera e Xavier Guerrero, espressione del partito comunista messicano sensibile al tema dell’inclusione femminile e alla causa femminista alla quale Modotti aderisce anche con il suo discorso fotografico. Madri con figli, donne lavoratrici e lavoro domestico, sono alcuni dei soggetti che ritornano frequentemente nella sua produzione. Iconico, tra gli altri, il ritratto della donna di Tehuantepec scattato nel 1929, che segna la fine di un’epoca per l’autrice. Arrestata e poi espulsa per sospetto di coinvolgimento nell’attentato al neopresidente messicano Rubio, dedica il resto della sua esistenza all’attivismo politico. La vita di esule prende il sopravvento sulla fotografia: la porta a Berlino, scenario dell’ultima sua parentesi creativa, successivamente a Mosca, dove rifiuta di diventare fotografa del partito sovietico e poi in prima linea nella guerra di Spagna, che la vede impegnata a prestare soccorso ai feriti. Al termine del conflitto ripara a Città del Messico e lì muore nel 1942, lasciando in eredità l’immortalità del suo sguardo sul mondo.

«Donna di Tehuantepec» (1929) di Tina Modotti, Archivi Cinemazero, Pordenone

Francesca Interlenghi, 18 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Da Camera Tina Modotti, «onesta fotografa» | Francesca Interlenghi

Da Camera Tina Modotti, «onesta fotografa» | Francesca Interlenghi