Mentre a Roma la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (che ha finalmente riguadagnato il suo acronimo storico, Gnam) apre una larga parte dei suoi spazi al Futurismo, 83 opere miliari dei protagonisti di un’altra stagione non meno grandiosa della nostra arte (quella che dagli ultimi anni ’50 si spinge fino ai primi anni ’70) lasciano la capitale per Torino e giungono, dal 12 ottobre al 2 marzo, nelle Sale Chiablese di Palazzo Reale, riunite nella mostra «I nuovi maestri della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea». Prodotta dai Musei Reali di Torino con Arthemisia, e curata dalla direttrice della Gnam Renata Cristina Mazzantini e da Luca Massimo Barbero, fra i massimi studiosi dell’arte del dopoguerra, la mostra è resa possibile da Mario Turetta, capo Dipartimento Attività culturali del MiC e direttore delegato dei Musei Reali di Torino: «Sono felice di accogliere i capolavori della Gnam nei Musei Reali, che ho contribuito in larga parte a costituire nei miei anni in città (dove è stato direttore regionale del MiC nel 2010-15, Ndr). Ho sempre creduto fortemente nel dialogo tra arte antica, moderna e contemporanea e credo che la vocazione al contemporaneo di Torino, dove ci sono musei come la Gam e il Castello di Rivoli e una manifestazione come Artissima, vada incentivata, aprendo in certe occasioni a essa anche i Musei Reali».
Se l’occasione è stata offerta dal necessario disallestimento di alcune sale della Gnam, la mostra è però tutt’altro che un evento «d’occasione», frutto com’è di un progetto rigoroso che, come spiega Mazzantini a «Il Giornale dell’Arte», si propone di «mettere in luce la qualità, non sempre sufficientemente percepita, delle ineguagliabili collezioni della Gnam e di porre al tempo stesso l’attenzione sul ruolo da protagonista che la Galleria rivestì nella costituzione del patrimonio artistico italiano moderno e contemporaneo, grazie soprattutto al rapporto attivo che, nei suoi tre decenni al vertice della Galleria, la soprintendente Palma Bucarelli seppe intrecciare con gli artisti più significativi e innovativi di quella così alta stagione, da Burri e Fontana fino a Pascali».
Una ventina gli artisti italiani convocati dai curatori di questa mostra che, ci anticipa Mazzantini, «va nella direzione del riallestimento delle collezioni che realizzerò alla Gnam, fondato principalmente su un criterio monografico e storico, capace di mettere in luce la persona dell’artista, oltre alle sue opere». Ad anticiparci l’ordinamento di questo racconto è Luca Massimo Barbero: «È un percorso intenso, ci spiega, e, in più sale, è un vero corpo a corpo fra i “nuovi maestri” dell’arte italiana del dopoguerra, della quale si esplorano qui le radici, unendone due grandi capitali: Roma, con l’Informale (perché la città è stata una vera fucina, un grande laboratorio che non può essere identificato soltanto con la pur importantissima Scuola di Piazza del Popolo), e Torino, con l’Arte povera».
Dopo l’incipit, che affianca due lavori fortemente simbolici di Ettore Colla e Pino Pascali, il percorso si apre con Capogrossi e i suoi ideogrammi, qui rappresentati da veri capolavori (alcuni monumentali) degli anni ’50 e ’60, riuniti in una sala monografica cui segue l’indagine sul tema della «materia», oggetto primario delle ricerche degli anni ’50: ecco allora, nuovamente, il grande Colla, e poi Lucio Fontana con magnifici «Concetti spaziali-Buchi»; Alberto Burri, con opere aurorali come un «Gobbo» del 1950; Mimmo Rotella, con composizioni ancora astratte, e Bice Lazzari, con i suoi polimaterici. Entra poi in scena l’astrazione di Afro e Piero Dorazio: «Due maestri, puntualizza Barbero, che, con Consagra, decretarono il successo dell’arte italiana negli Stati Uniti». Entrambi sono rappresentati da capolavori, che introducono alla sala non meno impressionante («il cardine della mostra», dice il curatore) in cui va in scena il dialogo tra Fontana e Burri: «Un omaggio a due giganti che culmina nel confronto inedito tra un grande “Teatrino” del primo e un “Cretto” del secondo». Roma (e il molto che vi accadde tra gli anni ’50 e ’60) è la protagonista del passo successivo: ecco un enorme décollage di Rotella del 1957, e poi Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Tano Festa e Carla Accardi, lei con saletta monografica. E dopo Giulio Turcato, Gastone Novelli, Toti Scialoja, tutti con opere storiche, il confronto, anch’esso inedito, tra Piero Manzoni e Franco Angeli (erano grandi amici), quest’ultimo con un potente monocromo nero. A Michelangelo Pistoletto, con un grande quadro specchiante del 1968, è dedicata una saletta monografica che introduce a un altro emozionante confronto, quello tra Mario Schifano e Pino Pascali, lui protagonista anche dell’ultima sala, monografica: «Pascali infatti, conclude Barbero, esponendo nel 1966 le sue “Armi” nella galleria torinese di Gian Enzo Sperone, unisce idealmente le due città, e anticipa l’Arte povera».