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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoli«Eh, lampu!» dicono i sardi quando vogliono esprimere meraviglia o stupore di fronte a un evento improvviso e inaspettato, come l’apparizione di un fulmine. Da quasi trent’anni Daniele Puppi (Pordenone, 1970) vive a Roma, ma ha trovato nell’espressione dialettale insulare la definizione più adatta a tradurre icasticamente lo spirito che anima la sua mostra personale, aperta dal 26 settembre al 6 dicembre all’Accademia nazionale di San Luca di Roma. Curata dal pittore Marco Tirelli, già presidente dell’istituzione, la mostra porta nell’edificio che vide operare anche il Borromini, quattro grandi videoinstallazioni. Il contesto è molto importante. L’operato di Puppi si contraddistingue sempre per una serrata relazione con lo spazio in cui opera, che studia, interiorizza e poi trasforma. Lo spazio è per lui una seconda pelle, riplasmarlo è farne saltare i paradigmi consueti, per ridefinirlo in termini soggettivi: «Non ho alcuna intenzione di occupare lo spazio, ha detto tempo fa l’artista, ma di esplorarlo per farlo esplodere».
Delle quattro opere in mostra, tre sono inedite. La prima è «Coyote Venus» (2023): il video mostra per quasi sette minuti una donna nuda, immobile su rocce, serena solo in apparenza. Il leggero movimento dei capelli è l’unico segno di vita. La scena, sospesa tra calma e disperazione, esprime un senso profondo di immobilità, impotenza e desiderio represso. Nelle intenzioni dell’artista non è contemplazione, ma attesa e presagio, riflesso dell’impossibilità di superare i propri limiti. Segue «Downtown Tunes», del 2025. Essa mostra, in un loop ossessivo, un frammento urbano di Los Angeles, città dove l’artista trascorre sei mesi l’anno. La vita cittadina al tramonto scorre senza sosta (elicotteri, luci, rumori) in un ciclo incessante e alienante. Work in progress dal 1995 al 2025 è «Il Lancio del Sasso»: qui l’artista lancia sassi verso l’orizzonte irraggiungibile, a simbolizzare un’aspirazione continua e impossibile, da cui nasce l’arte.
«The Chain» (2019) è invece un lavoro della serie «Cinema Rianimato». È la rielaborazione di un cartoon di Tom & Jerry, in termini però per nulla candidi, ma ossessivi e angosciosi. Ne scaturisce una rappresentazione indiretta della naturale violenza dell’uomo e della sua predisposizione alla sopraffazione. L’operato di Puppi aspira programmaticamente a produrre piccoli shock emotivi e intellettuali nel fruitore. L’opera, secondo Puppi, trova infatti nel fruitore il suo completamento, la sua apoteosi vera, tragica, ma anche catartica. Tutto il complesso armamentario tecnologico adottato dall’artista (videoproiettori, led screen, sincronizzatori, amplificatori, subwoofer, speaker, microfoni) mira unicamente all’effetto di sconvolgere, mediante calcolate scosse, facoltà percettive di chi guarda e ascolta, col fine di prospettargli un salto in una nuova e straniante dimensione spazio-sensoriale.