Gloria Gatti
Leggi i suoi articoliQualche settimana fa ho scritto sulla mia pagina Facebook poche righe sul processo Depp vs Heard (la star hollywoodiana Johnny Depp contro l’ex moglie, l’attrice Amber Heard, Ndr), conclusa il primo giugno.
Il post iniziava così: «C’è chi colleziona francobolli o scatole di fiammiferi, tu collezioni rancori», diceva Miriam, la terza moglie, a Barney nel celebre romanzo di Mordecai Richler (La versione di Barney, 1997) e finiva così: «L’unica chicca degna di nota è che per pagare le spese legali (del divorzio, Ndr) il pirata dei Caraibi ha dovuto vendere all’asta la sua collezione di Basquiat».
Nel mezzo del post c’era una breve sintesi di variegate miserie umane raccontate in mondovisione dai due attori in una telenovela «pulp», travestita da processo che, non solo qui, è irrilevante. Nella campagna marketing orchestrata per l’asta di «Post-War and Contemporary Evening and Day Auctions» tenutasi a Londra il 29 e 30 Giugno 2016 dove sono state vendute 8 opere (dipinti e disegni) di Basquiat della collezione di Depp, l’attore, invece, era stato descritto da Christie’s come un «collezionista illuminato nella comprensione e nell’impegno delle icone della pittura del XX secolo».
Alla sbarra del processo per diffamazione intentato contro la ex moglie in un Tribunale della Virginia, è stato impossibile ritrovare, in quella replica minore dell’eroe di Mordecai Richler, il collezionista illuminato venduto da Christie’s insieme ai suoi Basquiat.
Qualche giorno dopo la fine del processo, però, la stampa americana ha riportato la notizia che l’Art Crime Team dell’Fbi il 24 giugno aveva sequestrato all’Orlando Museum of Art 25 opere Basquiat esposte alla mostra «Heroes & Monsters: Jean-Michel Basquiat», che è stata chiusa anticipatamente per ordine di giustizia.
L’evidenza più forte a sostegno della falsità è che una delle opere era stata dipinta su un cartone su cui era stampato un logo della società FedEx disegnato da un grafico nel 1994, 12 anni dopo la morte di Basquiat.
Una storia che ricorda tanto quella dell’«Orchidea Bianca» di Mimmo Rotella in cui il Tribunale di Milano, con una sentenza del 14 luglio 2012 aveva accertato che il décollage era stato retrodato perché aveva come base un cartellone in cui si leggeva le parole «sito» e «ht» (https://, Ndr), riconducibili a internet, tecnologia di epoca evidentemente successiva agli anni ’60.
Mi è parsa una coincidenza bizzarra, però, che tra i proprietari delle opere esposte in mostra e sequestrate, il «New York Times» indicasse l’avvocato Pierce O’Donnell, il divorzista che curiosamente nel 2016 aveva rappresentato proprio Amber Heard nel processo per divorzio contro Johnny Depp. E chissà che quel dipinto non provenga proprio dalla collezione dei «rancori» del pirata dei Caraibi.
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