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Addio sconto ai compratori. La concessione di Sotheby’s è durata un anno o poco meno e dopo un 2024 tempestoso, si ritorna alla vecchia gabella. Sugli acquisti infatti la commissione forfettaria del 20% è stata sostituita nuovamente con una quota progressiva che incide per il 27% sugli importi compresi entro il milione di dollari. La major si scusa per la retromarcia repentina con una newsletter dove ricorda che l’idea, a quanto pare irrealizzabile, «era stata quella di favorire la crescita nei nostri mercati, creando trasparenza, semplicità ed equità in merito a tariffe che sono sempre state percepite come complessivamente intimidatorie». C’è da dire, però, che i favori al compratore li pagava il venditore, costretto a sobbarcarsi una commissione più elevata (10% di diritti sino a 5 milioni di dollari) oltre al pagamento del success fee, percentuale del 2% aggiuntiva in caso l’opera superi le stime massime. Quest’ultimo è un deterrente psicologico (spesso solo teorico) applicato anche da Christie’s che andrebbe abolito.
Nella fase attuale del resto sono i proprietari delle opere ad avere il coltello dalla parte del manico, pronti a lasciarsi sedurre dalla miglior offerta. Leggendo le minuscole note che si trovano agli inizi dei cataloghi, a loro non si fa cenno visto che le case d’asta preferiscono tenersi le mani libere e trattare in separata sede le condizioni soppesandole in base al valore dei beni.
Solo Dorotheum è chiara in tal senso e rende esplicito che il venditore deve pagare il 9,6% oltre i 10mila euro. E in Italia a dichiarare ufficialmente le commissioni dei venditori sono Pandolfini e Cambi che applicano una quota elevata, pari a circa il 16%.
Generalmente la percentuale a carico di chi possiede le opere varia dal 5 al 15%, con la possibilità di azzerare le commissioni quando l’importo è superiore ai 3 milioni di dollari, cifra per la quale si può ipotizzare la garanzia, ovvero la certezza del venduto. Ma tutto appare estremamente fluido e soggetto ad accordi personalizzati.
Sul fronte dei compratori, la situazione appare più chiara con percentuali elevate che hanno un’incidenza di circa il 30% tenendo conto che ai diritti d’asta vanno aggiunti i costi di trasporto; mal contato un surplus di circa un terzo rispetto al colpo di martello del banditore.
Il buyer’s premium dunque va valutato con attenzione prima dell’acquisto: dalla tabella sono evidenziate le commissioni applicate da ciascuna casa d’asta dove appare evidente che i valori sono solo in apparenza similari. Se Sotheby’s applica il 27%, Christie’s propone il 26%, ma nel caso di vendite in Italia si sale al 31,72%. Tantissimo certo, ma la questione è puramente teorica visto che la major ha definitivamente rinunciato a vendere nel Bel Paese (chissà se realizzerà qualche appuntamento online) trasferendo tutto a Parigi dove «Thinking Italian» verrà proposto due volte all’anno. Nel frattempo, ha chiuso la sede di Roma.
Tra le altre case d’asta, le commissioni più elevate sono quelle applicate da Phillips con il 32,67% mentre, al contrario, la più conveniente è Dorotheum, molto frequentata dagli italiani, con il 22% sino a 600mila euro per poi scendere ancora. Percentuale allettante quella della società viennese che nella fascia medio-alta rappresenta per Sotheby’s e Christie’s una temibile concorrenza assicurando al cliente un risparmio del 4-5%. Quanto alle italiane, i valori spaziano dal 28% de Il Ponte al 26% di Finarte e Pandolfini a cui seguono Wannenes e Cambi con il 25%. La più economica in assoluto è la torinese Sant’Agostino che applica il 15% sino a 50mila euro per poi scendere ancora per importi più elevati. Insomma, una girandola di numeri da far girare la testa. La cosa più saggia? Studiare con attenzione le regole del gioco e solo dopo alzare la mano.
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