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Marcel Duchamp, «Étant donnés (Given: 1. The Waterfall, 2. The Illuminating Gas, French: Étant donnés: 1° la chute d'eau / 2° le gaz d’éclairage)», 1966

Foto tratta da Wikipedia

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Marcel Duchamp, «Étant donnés (Given: 1. The Waterfall, 2. The Illuminating Gas, French: Étant donnés: 1° la chute d'eau / 2° le gaz d’éclairage)», 1966

Foto tratta da Wikipedia

Duchamp, l’artista della fuga per eccellenza

Storie di fantasmi • Le nostre storie dell’arte, della letteratura, della musica sono costellate da artisti, scrittori, musicisti che si sono mossi ai margini. Partiamo dalla figura liminale per definizione

Nicola Ricciardi

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Questa rubrica parla di fantasmi. E parte da una citazione di Edith Wharton, la quale a inizio ’900 scriveva che «i fantasmi, per manifestarsi, richiedono di due condizioni estranee alla mente moderna: silenzio e continuità». Oggi, a distanza di un secolo, in un presente caratterizzato da molteplici tipologie di rumore e da una frenetica prospettiva a breve termine, più che estranee quelle condizioni ci appaiono irraggiungibili. Eppure, allo stesso tempo, emergono o si intensificano fenomeni di ritiro sociale e autoisolamento estremo, dal «Big Quit» agli hikikomori: archetipi che riaffiorano come risposte latenti nei momenti di crisi, depositate da secoli di produzione culturale. Le nostre storie dell’arte, della letteratura, della musica sono infatti costellate da artisti, scrittori, musicisti che si sono mossi ai margini, camminando lungo i bordi per poi oltrepassarli, uscendo di scena, temporaneamente o per sempre, come fantasmi. 

In questo spazio si tenterà di raccogliere e raccontare le loro storie, partendo dalla figura liminale per definizione, dall’artista della fuga per eccellenza: Marcel Duchamp. All’inizio del secolo scorso, l’artista francese non poteva certo contare sulla riconoscibilità universale che avrebbe ottenuto qualche decennio più tardi; eppure l’impatto dei suoi ready-made era già tale da garantirgli una condizione di sovraesposizione nei circoli d’avanguardia europei. Tuttavia, è proprio in quel momento che Duchamp dichiara di essersi stancato del mestiere di artista e sceglie di dedicarsi ad altro, in particolare agli scacchi. Non era una rinuncia, ma una metamorfosi: l’arte, per Duchamp, si spostava su un piano latente, invisibile, ma non per questo meno produttivo. 

Non a caso, nel tempo fece sporadici ritorni con mostre, opere e intuizioni. Una su tutte, l’«Étant donnés», complessa installazione cui lavorò in segreto nascosto dietro una porta del Philadelphia Museum of Art e che venne svelata al pubblico solo dopo la sua morte, nel 1968. Come lui stesso dirà: «Mi sono voluto servire dell’arte per istituire un modus vivendi, un modo per capire la vita, per provare a fare della mia stessa vita un’opera d’arte, anziché passare tutta la vita a produrre opere d’arte in forma di quadri, di sculture». Parallelamente, il sistema delle istituzioni, dei musei e delle gallerie aveva progressivamente smesso di suscitare il suo interesse, portandolo a un totale distacco dalle vicissitudini sociali. A metà anni Sessanta, lo stesso artista francese darà a questo suo sentimento la struttura di un manifesto: «Credo che il grande uomo di domani non dovrà farsi vedere, non potrà farsi vedere e andrà sottoterra (underground). Potrebbe essere riconosciuto dopo la sua morte se è fortunato, ma potrebbe anche non esserlo affatto». Prendeva forma l’idea di un’esistenza artistica alternativa: sotterranea, anonima, fuori mercato. Nel decennio che seguirà saranno molti gli artisti affermati che, consapevoli o no dell’influenza di Duchamp, prenderanno alla lettera il suo consiglio dandosi alla macchia. Ma di questi altri fantasmi parleremo nella prossima puntata.

Nicola Ricciardi è dal 2020 il direttore della fiera miart di Milano

Nicola Ricciardi, 22 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

Duchamp, l’artista della fuga per eccellenza | Nicola Ricciardi

Duchamp, l’artista della fuga per eccellenza | Nicola Ricciardi