In The Spell of the Sensuous (1996), il filosofo statunitense David Abram «suggerisce che la civiltà ha iniziato a "isolarsi dalla terra vivente" con l’invenzione della scrittura fonetica», spiega Jeremy Epstein, co-fondatore della galleria Edel Assanti. «Each Place Its Own Mind», collettiva tematica in apertura presso lo spazio londinese dal 17 gennaio (fino al 15 marzo), analizza come «i sistemi di scrittura avrebbero orientato le nostre facoltà intellettuali verso la produzione di un corpo distintivo di storia e conoscenza umana», aggiunge Epstein. Dai lavori di scrittura asemica dell’argentina Mirtha Dermisache (1940-2012, Buenos Aires), «sequenze indecifrabili di linee semi-pittoriche emblematiche del ritmo complessivo della mostra», alla fluttuante installazione in ferro, quarzo rosa e diaspro del sudafricano Bronwyn Katz (1993, Kimberley), «//xū//nana (seeds of the sweet-thorn)» (2024), «simbolo della connessione della terra con le eredità minerarie» oggi minacciate dall’estrazione industriale, e «Your voice is always there cutting through the darkness» di Emmanuel Van der Auwera (1982, Brussels), inquietante ritratto «delle relazioni parasociali e la solitudine digitale», la vetrina restituisce un quadro intricato della nostra relazione con le entità del pianeta terra.
Ci parli di «Each Place Its Own Mind»: da dove nasce questa mostra?
Jeremy Epstein: In questi cinque anni abbiamo seguito artisti che esplorano modalità di coscienza alternative alla concezione umana post-illuminista. Nell’imbatterci in The Spell of the Sensuous (1996) di David Abram, il quale combina la filosofia occidentale con la conoscenza intellettuale e antropologica e il misticismo indigeni, abbiamo pensato che la sua idea di una coscienza del luogo, definita dalla somma delle prospettive di tutte le presenze organiche, ecologiche e geologiche di un sito specifico, fosse una premessa affascinante per una mostra. «EPIOM» prende come punto di partenza la visione secondo cui ciò che chiamiamo «coscienza» potrebbe essere emerso come uno strumento sofisticato per interagire con le complesse reti che compongono le nostre ecologie. Gli artisti coinvolti ci raccontano da dove veniamo e dove potremmo essere diretti.
Se dovesse ridurre l’intera vetrina a un unico elemento che ne fa da collante, quale sarebbe?
JE: Il profondo legame tra gli esseri e gli ambienti in cui vivono.
In che modo le opere si sforzano di ravvivare la connessione tra uomo e natura, o denunciarne la scomparsa?
JE: I lavori esplorano il legame inestricabile tra l’umanità e il mondo naturale. Ne sono esempio quelli di Anna Hulačová, la quale, dopo aver realizzato dei busti in cemento, fa sì che le api producano favi all’interno delle sue sculture, rendendole parti integranti e vive degli alveari durante la stagione dello sciame. Situate là dove si troverebbero gli organi interni umani, i favi simboleggiano una connessione primordiale tra spirito e forma. Nella stessa stanza, due dipinti a tema ancestrale con composizioni ritmiche e astratte, opera di Yukultji Napangati, offrono un esempio sorprendente della tradizione pittorica di Papunya Tula. Queste tele potrebbero sembrare topografiche, ma incarnano storie profondamente radicate nel deserto di Gibson, situato nell'Australia Occidentale, dove Napangati ha trascorso la maggior parte della sua vita.
«EPIOM» guarda all’autoproclamata «superiorità» umana come alla causa principale dell’involuzione ecologica. La mostra propone una visione del mondo dove, invece, tutto, dai microrganismi invisibili agli animali, è interconnesso. Qual è l’opera d’arte che più incarna questa filosofia?
JE: Penso che «The Brewer» (2023), scultura di Marguerite Humeau, esemplifichi questa idea in modo eloquente. Collocata al centro della sala più grande della galleria, è un totem carico di simbolismo che adotta una forma dinamica di trottola, rifacendosi all’estetica di un potenziale futuro lontano. Ospita elementi e prodotti preziosi del mondo naturale, tra cui miele, veleno, lievito e colture di Termitomyces, servendo da capsula del tempo capace di offrire la chiave per la rigenerazione.
Quale significato rivestono le modalità alternative di interazione con la natura esplorate in questo percorso?
JE: Gli artisti in mostra presentano prospettive esperienziali che, nella maggior parte dei casi, differiscono sostanzialmente da quelle del visitatore. È evidente nella ricerca di Noémie Goudal sul “tempo profondo” (solitamente misurato in milioni di anni); concezione che possiamo a malapena comprendere, e che di certo non abbiamo modo di testimoniare. Eppure, attraverso le composizioni illusorie di Goudal, diveniamo consapevoli della fragilità e dei limiti delle nostre facoltà, della necessità di un ricentramento filosofico che ci consenta di evitare la catastrofe e scrivere un nuovo capitolo della nostra storia.