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La direttrice di Frieze Masters Emanuela Tarizzo

Photo: Harry Mitchell

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La direttrice di Frieze Masters Emanuela Tarizzo

Photo: Harry Mitchell

Emanuela Tarizzo e la serendipity di Frieze Masters

La neodirettrice della fiera londinese, subentrata durante il passaggio di proprietà ad Ari Emanuel, punta su nuove generazioni e dialogo tra passato e presente invitando a perdersi tra gli stand per scovare tesori inattesi

Da aprile 2025, l’italiana Emanuela Tarizzo, milanese, classe 1988, è la nuova direttrice di Frieze Masters, tra le fiere più importanti al mondo dedicate all’arte pre XXI secolo, che dal 2012 trova sede a Regent’s Park, nel centro di Londra. Tarizzo succede a Nathan Clements Gillespie, alla direzione della fiera per otto anni, e la sua nomina segna una nuova stagione per la kermesse, che quest’anno torna dal 15 al 19 ottobre con circa 136 gallerie partecipanti provenienti da 26 Paesi. Forte di un’esperienza decennale nella ricerca e nel mercato dell’arte, Tarizzo accoglie la sfida di guidare un’istituzione che, come molte altre fiere, è chiamata a rispondere a un mercato e a un collezionismo in profondo cambiamento. «Il Giornale dell’Arte» l’ha intervistata in esclusiva prima dell’inizio della fiera.

Emanuela, lei è italiana di nascita e londinese d’adozione. Ci racconta com’è nato il suo interesse per la storia dell’arte? 
Sono nata e cresciuta a Milano, dove ho studiato storia dell’arte sin dalle scuole medie, e poi al liceo classico. E ben presto ho cominciato a percepirla come veicolo per raccontare la storia, l’esperienza personale e collettiva dell’umanità. Questa mia passione è maturata nel tempo in modo naturale, senza una rivelazione improvvisa.

Che cosa l’ha portata a trasferirsi a Londra? 
Sono arrivata a Londra per studiare al Courtauld Institute of Art, dove ho iniziato la triennale nel 2006 e ho poi proseguito con il Master. A 18 anni ho scelto Londra per tutto ciò che rappresentava, e che rappresenta tutt’ora, nonostante Brexit. Era ed è una città cosmopolita con un ecosistema dell’arte vivo e vivace, fatto di musei, gallerie, istituzioni, centri di ricerca straordinari e un pubblico curioso e ricettivo. 

Dopo il Courtauld, ha mosso i primi passi nel mondo dell’arte e ha costruito una carriera di altissimo livello, tra musei, case d’asta e gallerie. Ci racconta il suo percorso? 
Mentre ancora studiavo, ho iniziato come stagista alla Dulwich Picture Gallery nel team di Xavier F. Salomon, per poi lavorare come research intern a una mostra sui disegni di Lucian Freud, co-organizzata da Blain|Southern e Acquavella Galleries. Mi sono poi unita al dipartimento di dipinti antichi di Christie’s a King Street, prima di passare all’altra faccia del mercato dell’arte: le gallerie. Ho contribuito all’avvio londinese di Lampronti Gallery, per poi approdare da Tomasso, dove sono diventata direttrice e sono rimasta per quasi otto anni.

Ci sono stati dei mentori che l’hanno guidata e preparata al suo nuovo ruolo di direttrice di Frieze Masters? 
Certamente. Georgia Clark, la mia relatrice al Courtauld, mi ha insegnato l’importanza di un approccio rigoroso e analitico alla ricerca. A Christie’s è stato tutto il dipartimento a fare da guida: lì ho imparato a leggere la superficie dell’opera d’arte. Infine, Dino e Raffaello Tomasso mi hanno insegnato cosa significhi guidare una galleria internazionale, in termini sia di ricerca che di relazione con collezionisti e musei internazionali. Lavorare con loro a fiere in tutto il mondo, da Londra a Maastricht, New York, Parigi e Firenze, mi ha permesso di comprendere meglio le esigenze di espositori, collezionisti e pubblico, e che cosa fa di una fiera un evento davvero attrattivo e di successo. 

Ha fatto un percorso e incontri che forse non sarebbero stati possibili se non si fosse trasferita a Londra... 
Difficile da dire a distanza di così tanti anni. Ho lasciato Milano quasi vent’anni fa, quando ancora non era la città dinamica e internazionale che è oggi. Resta il fatto che Londra continua a offrire opportunità impareggiabili nel settore dell’arte.

Veniamo a Frieze Masters: come la definirebbe in poche parole e che cosa la rende unica nel suo genere? 
Sin dalla sua fondazione nel 2012, Frieze Masters è una piattaforma internazionale che guida visitatori e collezionisti in un viaggio attraverso millenni di arte, dall’antichità fino al XX secolo, all’interno di un impianto curatoriale che invita il visitatore alla scoperta. Contrariamente ad altre fiere, la disposizione degli stand non è suddivisa per sezioni: il visitatore è invitato a fare esplorazioni inaspettate, può trovare un manoscritto medievale, e poi un dipinto aborigeno del XX secolo e lasciarsi sorprendere dalla varietà della proposta. Credo che l’unicità di Frieze Masters si rifletta e risieda anche nella sua sede: Londra, città profondamente multiculturale, inclusiva e aperta. 

La sua nomina arriva in un momento cruciale per Frieze, in cui l’organizzazione è appena stata venduta. Crede che questo passaggio di proprietà andrà a incidere sull’identità della fiera?  
Il nostro lavoro rimane lo stesso di prima, e Ari Emanuel è un grande sostenitore di Frieze. La vera evoluzione della fiera viene dalle trasformazioni generazionali: il collezionismo muta, i musei ridefiniscono le loro priorità, il pubblico evolve. La sfida è quella di saper leggere e interpretare questi cambiamenti, mantenendo però salda la missione culturale della fiera.

In che modo pensa si possa affrontare questa sfida, soprattutto ora che il format stesso delle fiere, in generale, sta iniziando a mostrare le sue fragilità?
Rendendo la fiera il più flessibile possibile e abbracciando una strategia curatoriale dinamica. Le «Curated Sections», Spotlight, Studio e Reflections, che ogni anno possono cambiare tema e sono curate da grandi professionisti provenienti dal mondo culturale, sono un prezioso strumento per rispondere alle esigenze sempre più diversificate del mercato. Permettono alla fiera di rinnovarsi di anno in anno, introducendo nuove gallerie, vivacizzando l’offerta espositiva e dialogando coerentemente con il collezionismo contemporaneo.

Un collezionismo che, se guardiamo alle nuove generazioni, sembra però preferire l’arte contemporanea a quella antica… 
La fascia più giovane di collezionisti oggi è meno legata che in passato alle logiche di connoisseurship e meno improntata su un collezionismo esclusivamente contemporaneo. Ciò che viene definito cross-collecting è sempre più diffuso: l’opera, che sia antica o contemporanea, spesso è scelta su base personale per motivazioni legate al gusto, a una risposta immediata all’opera, o a un interesse per l’artista. L’oggetto è spesso apprezzato per il suo racconto, per l’identità che veicola, anche quando complessa e stratificata. In questo contesto, è fondamentale che una fiera come Frieze Masters offra narrazioni e chiavi di lettura che rendano accessibili e interessanti anche le opere legate alla tradizione. 

A volte, però, le nuove generazioni non si avvicinano all’arte antica e agli Old Masters perché li percepiscono come appartenenti a un mondo esclusivo, distaccato, talvolta irraggiungibile, un’immagine in parte alimentata anche da certe modalità di presentazione adottate dalle gallerie.
Penso che questa percezione stia cambiando. Per quanto riguarda la presentazione, a Frieze Masters invitiamo gli espositori ad adottare soluzioni che avvicinano l’antico all’occhio contemporaneo. Inoltre, è fondamentale tener presente i nuovi galleristi, non solo in Old Masters, che rappresentano un ponte fondamentale con le nuove generazioni di collezionisti. Una delle priorità assolute di Frieze Masters è sostenere la nuova generazione di galleristi che hanno oggi tra i 30 e i 40 anni circa, e che riescono a intercettare un pubblico più giovane per affinità di valori e mentalità. In questa edizione di ottobre daremo spazio a questa linfa vitale del mercato, con gallerie come quelle di Ambrose Naumann, Ben Hunter, Larkin Erdmann, Vito Schnabel, Will Elliott… E ancora Charles Ede, che oggi è guidata da Charis Tyndall, o le nuove generazioni come Laura de Jonckheere, Edoardo Voena, Mica Bowman, e Patrick Williams. 

Ci saranno altre novità in termini di gallerie partecipanti? 
Quest’anno accoglieremo circa 136 gallerie provenienti da 26 Paesi. Essendo a Londra, buona parte dei partecipanti arriva dal Regno Unito e dall’Europa. Registriamo anche importanti ritorni dopo anni di assenza, come quelli di Francesca Galloway e Mark Weiss da Londra, Moshe Tabibnia da Milano, Adam Williams Fine Art e Otto Naumann, entrambi da New York, o nuovi espositori come Salon 94, Schoelkopf e Vito Schnabel, sempre dagli Stati Uniti… Inoltre, cresce la presenza di gallerie internazionali provenienti da Paesi extraeuropei, tra cui Giappone, Australia, Corea del Sud, Hong Kong, Brasile e Messico.

Elena Caslini, 09 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

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