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Kan Yasuda, detriti di un tempo remoto

Fino al 21 settembre trentacinque sculture dell'artista giapponese, tra storiche e inedite, sono collocate nei luoghi più significativi di Pietrasanta

Elena Caslini

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Una grande panchina verde, situata lungo i resti dell’antica rocca, offre una delle vedute più suggestive di Pietrasanta: da lì lo sguardo si estende fino al mare della Versilia, mentre la piazza principale, con il Duomo di San Martino, emerge incastonata tra strade e palazzi storici. In questo contesto urbano si inseriscono le sculture di Kan Yasuda (1945), forme talvolta tondeggianti, talvolta totemiche, che richiamano detriti di un tempo remoto e allo stesso tempo dialogano con armonia con l’ambiente circostante.

Non stupisce che Renzo Piano abbia definito le opere dell’artista giapponese «giganteschi ciottoli trascinati nelle strade dalla corrente di un improbabile diluvio universale». Fino al 21 settembre, con la mostra diffusa Kan Yasuda. Oltre la forma, Pietrasanta si trasforma in un museo a cielo aperto, ospitando trentacinque sculture di Yasuda – tra storiche e inedite – collocate nei luoghi più significativi della città: da Piazza Carducci e Piazza Duomo, alla Chiesa e al Chiostro di Sant’Agostino, fino al pontile della Marina.

A trent’anni esatti dalla prima grande esposizione dedicata all’artista a Pietrasanta, l’iniziativa celebra il legame profondo che unisce l’artista alla cittadina, scelta già negli anni Settanta come casa e laboratorio, e che oggi lo accoglie come cittadino onorario. Al tempo stesso, la mostra rende omaggio a Giorgio Angeli, maestro artigiano e figura simbolo della città, capace di tradurre in materia, per decenni, le idee di artisti provenienti da tutto il mondo – da Isamu Noguchi a Pietro Cascella, da Eva Sorensen a Giò Pomodoro.

Che siano scolpite nel marmo o fuse in bronzo, le sculture di Yasuda si collocano in un equilibrio sottile tra Minimalismo e animismo, tra Oriente e Occidente, tra contemplazione Zen e vitalità creativa. Le superfici, levigate fino a diventare «lisce come la pelle di un bambino» – come sottolinea l’artista stesso – rivelano una pazienza quasi ascetica e una precisione tecnica estrema. La loro finitura invita a un contatto diretto, coinvolgendo lo spettatore in modo fisico, oltre la mediazione del pensiero.

Non è un caso che siano spesso i bambini a stabilire per primi un contatto diretto con le sculture di Kan Yasuda: li si vede arrampicarsi, correre e giocare tra le forme, proprio come accadeva nella mostra di trent’anni fa, documentata da numerose fotografie d’archivio. Anche gli adulti, osservando queste interazioni, sono portati a un incontro con l’arte che prevede una percezione immediata e fisica dell’opera. I titoli, giapponesi come Tensei, Myomu, Tenpi, non sono riportati su alcuna didascalia, a sottolineare come la ricerca dell’artista sia orientata a un’esperienza sensoriale piuttosto che a una lettura didascalica.

Le sculture dialogano con lo spazio urbano in maniera naturale, senza sovrastarlo né generando contrasti. Un equilibrio affinato da Yasuda in anni di esposizioni pubbliche tra Italia e Giappone, e reso manifesto nel suo museo a cielo aperto nell’isola di Hokkaido, dove arte e natura convivono in armonia. «L’energia latente della scultura», scrive l’artista nel catalogo della mostra, «echeggia con quella del luogo in cui viene collocata: entrambe si alimentano e si sublimano. Lo spazio si trasforma in campo magnetico, l’energia del luogo si sveglia dal lungo sonno».

Elena Caslini, 12 settembre 2025 | © Riproduzione riservata

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