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Si avvia a conclusione la mostra in 12 puntate «Faventia. Ceramica italiana contemporanea», ospitata da Buildingbox a Milano (fino all’11 gennaio 2025). E induce qualche riflessione. Finalmente si può parlare di ceramica come di una presenza costante e non banale nella ricerca contemporanea, e proprio Faenza, l’antica Faventia, ne è ufficialmente il capoluogo. Vabbè, ad Albissola avrebbero più di una obiezione in merito, forti delle passate frequentazioni di Martini, Fontana, Lam, Jorn, Leoncillo eccetera: ma Faenza ha conservato una tensione al nuovo e ha saputo attirare giovani generazioni, come in Liguria non è accaduto. E in ogni caso due centri tosti, come diceva la pubblicità, «is megl che uan», per dire.
Qui, poi, la vera novità è che una galleria sveglia ha fatto del progetto una parte essenziale della sua programmazione, affidandosi a due curatori come Roberto Lacarbonara e Gaspare Luigi Marcone, osservatori attenti del nuovo ma a loro volta non «specialisti» di ceramica. E chissà che nella memoria di qualcuno non sia risuonato il nome di Adriano Totti, gallerista milanese che negli anni ’50 fece più di molto per far conoscere in Europa la messe fitta e qualitativamente altissima dei ceramisti italiani di allora.
A Faenza c’è la Bottega Gatti di Davide Servadei, il luogo dove vanno a creare tutti i maggiori artisti contemporanei (ci sono passati Burri, Matta, Arman, Sottsass e il genio nuovo di Giacinto Cerone) e poi c’è il Museo Carlo Zauli, che Matteo Zauli fa vivere non solo in omaggio al padre ma alimenta continuamente con eventi, residenze, festival, iniziative plurime. E c’è il Mic, il Museo Internazionale delle Ceramiche, enorme per collezioni e vastità. In «Faventia» si sono alternati artisti già storicizzati, Ontani su tutti, alcuni ormai sulla via di esserlo, da Gianni Caravaggio a Liliana Moro, e più giovani come Nicolò Cecchella, Silvia Celeste Calcagno, Gianluca Brando, Andreas Zampella.
Da vecchio navigatore di cose ceramiche e precoce fautore del loro essere parte integrante e primaria della ricerca artistica tutta (come altrimenti valutare la figura del mio prediletto Nanni Valentini?) non posso che esultare: ciò che fa davvero male ai ceramisti è considerarli, appunto, ceramisti, parlare della tecnica prima che della sostanza concettuale del lavoro. Quando sono in una galleria «neutra», conta solo ciò che sono, ciò che fanno. E qui c’è, indubitabilmente, tanta roba.