Chiara Massimello
Leggi i suoi articoliSono appena terminati Exposed, il primo Festival di fotografia di Torino, la 18ma edizione di Fotografia Europea di Reggio Emilia, il Belfast Photo Festival e, in Polonia, il Fotofestiwal di Łódź, ma per tutta l’estate saranno visitabili festival di fotografia un po’ ovunque. Imperdibili, per esperti e appassionati del settore, sono i Rencontres de la Photographie di Arles (dal primo luglio al 29 settembre), dove, sotto la direzione di Christoph Wiesner, sono attesi più di 150mila visitatori. Dal 1970, la piccola città della Provenza, considerata capitale della fotografia, propone più di 40 mostre nei luoghi più disparati della città, con nuove ricerche e sperimentazioni, incursioni nella fotografia storica, o negli archivi industriali e ogni anno retrospettive dei più grandi talenti della fotografia che qui ricevono definitiva consacrazione.
In Toscana, dall’11 luglio al 3 novembre (con i primi giorni particolarmente fitti di incontri e presentazioni), si tiene la 14ma edizione di Cortona On the Move. Il festival, che attrae sempre più un pubblico internazionale, offre una riflessione sul mondo e la fotografia contemporanei con 4 mostre collettive e 18 personali all’insegna del «Corpo del reato», indagato in tante declinazioni differenti, sotto la direzione artistica di Paolo Woods affiancato quest’anno da Kublaiklan, collettivo nato e cresciuto proprio qui.
Ma l’estate degli amanti della fotografia e dei festival sembra interminabile: fino al 28 luglio ci sarà Athens Photo Festival, mentre terminerà il 30 settembre Brescia Photo Festival e fino al 3 novembre si potrà visitare il Festival Photo La Gacilly; dal 30 agosto al 3 novembre, Monopoli ospiterà PhEst, il festival internazionale di fotografia e arte, mentre dal 31 agosto al 15 settembre Perpignan presenterà Visa pour l’image, festival internazionale di fotogiornalismo. Ultima (ma non ultima), Vevey, la piccola cittadina svizzera che ospiterà circa 60mila visitatori per la Biennale Images Vevey (dal 7 al 29 settembre), con installazioni monumentali realizzate su misura negli spazi pubblici della città, in un festival «(dis)connected» che parla del paradosso tra la nostalgia del passato e l’incertezza del futuro.
Sembra che alla fotografia non bastino i luoghi istituzionali per esprimersi, che provi un’urgenza di uscire e comunicare. Animata da una necessità di confronto con la contemporaneità e di contaminazione con le nuove tecnologie, vive un momento molto prolifico di interessanti visioni e sperimentazioni, in cui sono sempre più numerosi i fotografi «in cerca d’autore», che faticano a trovare una loro collocazione nel sistema dell’arte e una concreta visibilità.
I festival sono anche un’occasione per gli artisti di sperimentare e realizzare installazioni di grandi dimensioni; qui spesso possono immaginare i loro lavori in formati differenti e con tecniche di stampa innovative, ma, per contro, devono riflettere con particolare attenzione sul luogo (quasi mai neutro) che li ospita e sul pubblico che si fermerà ad osservare, non sempre così abituato a un certo tipo di rappresentazione e a certe tematiche, soprattutto quando i festival si aprono agli spazi pubblici. Sono quasi sempre le piccole cittadine a ospitarli, realtà in cui è più facile coinvolgere gli abitanti e un pubblico ampio. Sono luoghi di incontro tra fotografi, curatori, editori, esperti e appassionati, laboratori aperti al dialogo e dinamici. Spesso costituiscono l’unica possibilità di visibilità per i giovani fotografi che qui possono presentare i loro portfolio e avere la possibilità di ricevere premi per supportare la produzione e l’esposizione delle loro immagini.
I festival sono sempre più numerosi e le amministrazioni locali li vedono come un’attrattiva interessante per il territorio e il turismo. Tuttavia, devono prestare sempre massima attenzione alla selezione curatoriale degli artisti, alla qualità dei lavori proposti e alla cura degli allestimenti. Il loro carattere effimero (durano al massimo tre mesi) non deve essere una giustificazione per una trasandata semplicità, troppo spesso in agguato con la fotografia, che mortifica gli artisti e il loro lavoro. D’altro canto però, non si può chiedere ai festival (e penso all’Italia) di supplire a quello che dovrebbe essere il ruolo delle istituzioni e dei musei. Dopo che le porte si chiudono e le installazioni si smontano, chi si prende cura della fotografia portando avanti un lavoro serio e a lungo termine (istituzioni private escluse)?
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