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Mark Brusse, Ginko on his mind, 2025

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Mark Brusse, Ginko on his mind, 2025

Fiori arancio, fiori di Ginko: Mark Brusse porta un anticipo di autunno a Milano

Fino al 25 ottobre 2025 le malinconiche installazioni site-specific dell'artista olandese sono in mostra da Zazà Ramen

Davide Landoni

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Siamo in autunno. A dircelo è il colore aranciato delle foglie di Ginko, che in una pioggia di fiori pittura il paesaggio circostante, onirico e indefinito, sospeso come quelle gocce di vegetazione che mai toccheranno terra. Il titolo dell'opera di Mark Brusse (Alkmaar, Paesi Bassi, 1937), ci aiuta a definire la scena. «Ginko on his mind» (2025), quindi non in questo mondo, ma in un universo che appartiene solo alla figura che, sdoppiata, siede ai due angoli opposti del trittico. Insieme alla porzione centrale, la composizione è esposta all'ingresso di Zazà Ramen, a Milano, in via Solferino.

Osservarla conduce lo spettatore in un altrove. É quello del Giappone, dove l'albero del Ginko è tra i simboli nazionali; ma è anche quello dello spazio intimo del ragazzo protagonista, solitario e affranto, scorato. Eppure, la presenza del Ginko, pur nella stagione in cui è più debole, in cui la sua veste discende sfiorando il tronco, rimane un inscalfibile segno di resilienza. Sei alberi di Ginkgo, ancora oggi viventi, resistettero alle radiazioni della bomba atomica su Hiroshima, facendosi un monumento di forza e speranza.

Non tutto è perduto, dunque, ma è altrettanto vero che una certa malinconia pervade la poetica che Brusse ha impresso in questa serie di gouache. Sensazione alimentata dalla tecnica stessa, che lavora a diretto contatto con la tela umida, dove il colore si espande e reagisce in modo spontaneo, creando paesaggi visionari in cui la materia liquida diventa linguaggio. Come la malinconia, che muove sul fondo delle nostre giornate, presenza informe ma dilagante, che sobbalza lievemente ad ogni nostro movimento. Nei suoi momenti più dolci, essa diviene anche consolazione, ritorno di una felicità passata, che non può fare ritorno eppure persiste, aleggiando in noi come le tipiche foglie a forma di ventaglio del Ginkgo Biloba aleggiano in altre due opere esposte, «Ginkgo Spirit n°1» e «Ginkgo Spirit n°2» (2024), leggere e poetiche, perfette per insinuarsi nello spazio come frammenti di memoria.

Poesia che non sfuma nemmeno al cospetto nella morte, come Brusse racconta nel secondo trittico, quello posto sul muro in fondo alla sala. Intitolato «La barque de Li Po» (2025), è un omaggio alla storia del poeta cinese Li Po (Li Bai), vissuto durante la dinastia Tang (701–762), noto per la sua esistenza errante, l’amore per il vino e le poesie dedicate alla luna. Secondo la leggenda, sarebbe morto annegato tentando di abbracciare il riflesso lunare sull’acqua. Un episodio mitico che Brusse trasforma in un racconto visivo sospeso tra la bellezza e la malinconia.

A completare l’installazione, sei piccole sculture in ceramica smaltata realizzate tra il 2018 e il 2024 sono esposte nella struttura in ferro alla fine della sala. Creature dai corpi amorfi, piccole divinità pronte a curiosare tra i tavoli del ristorante; presenze curiose, forse venute a gustare un ramen come noi.

Mark Brusse, «La barque de Li Po» (2025)

Mark Brusse

Davide Landoni, 21 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

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