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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoli«Non dire frottole», ossia non raccontare storie false, fake news: quante volte si pronuncia questa parola, ma quanti davvero sanno da dove deriva? Si tratta, in realtà, di componimenti poetici e musicali polifonici a quattro voci diffusi soprattutto tra XV e XVI secolo, di origine popolare e contenenti alcuni luoghi comuni: da lì, il passaggio di significato con l’associazione anche al nonsenso e all’espressivismo linguistico. Tale particolare legato alle frottole i visitatori possono evincerlo nella mostra «Francesco Petrarca, Modena e l’Italia. Territori dell’anima e del mondo», fino al 2 agosto presso Biblioteca Estense Universitaria, Galleria Estense e Archivio di Stato di Modena, dedicata al grande poeta vissuto tra il 1304 e il 1374: si fa qui il punto sulle opere del poeta conservate a Modena, provenienti dalla raccolta d’Este di Ferrara, in rapporto sia alle immagini utilizzate per illustrarle sia esplorando il legame tra tali versi e alcuni intellettuali e collezionisti come Tarquinia Molza, Ludovico Castelvetro, Alessandro Tassoni, Ludovico Antonio Muratori.
Il percorso, curato da Loredana Chines, Paola Vecchi e Sonia Cavicchioli con il coordinamento di Alessandra Necci e Lorenza Iannacci, direttrici rispettivamente di Gallerie Estensi e Archivio di Stato, presenta una cinquantina di pezzi nelle tre sedi espositive cui si aggiungono dipinti e documenti. Del grande poeta aretino, ad esempio, è presente una edizione de I Trionfi e Il Canzoniere, stampata a Venezia nel 1478 che contiene due interpretazioni, rispettivamente, di Bernardo Ilicino e di Francesco Filelfo, oppure il manoscritto cartaceo petrarchesco del XV secolo «De remediis utriusque fortune e de vita solitária»: la «F» che apre il volume, magnificamente miniata in blu, verde e oro, è stata scelta come logo della mostra.
Il percorso presenta poi la celebre «Raccolta Molza Viti», un quattrocentesco piccolo rotolo di pergamena con testi di Petrarca, all’interno di un cofanetto con poesie di Jacopone da Todi e poco oltre il volume veneziano stampato da Giolito de’ Ferrari nel 1545, che contiene i cosiddetti «sonetti anti babilonesi», componimenti in antico censurati e cancellati con tratti di penna e foglietti in parte ancora presenti. In mostra anche il manoscritto cartaceo e in pergamena «Arie diverse messe in musica», un codice destinato a un contesto colto ed elitario: è in formato oblungo e offre una notevole decorazione di uccelli, farfalle, frutta e fiori, resi in modo molto realistico. Il visitatore poi si sposta alla vicina Galleria Estense, dove sono stati selezionati alcuni dipinti, ad esempio, l’olio su tela «Giustizia e Pace» di Palma il Giovane del 1620, legate a tematiche petrarchesche: appositi pannelli ne indicano presenza e informazioni. L’ultima tappa di questa narrazione petrarchesca è all’Archivio di Stato, dove la riflessione sulla fortuna delle opere, della lingua e della cultura di Francesco Petrarca è in rapporto al Ducato Estense.