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Giorgio Armani Privé primavera-estate 2019

Photo: Sgp

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Giorgio Armani Privé primavera-estate 2019

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Giorgio Armani: «L’eleganza è una forma di rispetto»

A vent’anni dal lancio, a Parigi, della collezione di Alta Moda, una grande mostra con circa 150 abiti da sogno celebra lo stile senza tempo dello stilista italiano

Giorgio Armani è un’icona senza tempo perché ha saputo attraversare ogni collezione dettandone il ritmo, anticipandone i desideri, cambiandone le regole. Ha reso il suo presente un territorio da trasformare, plasmando la cultura visiva, il gusto e lo stile con la naturalezza di chi non segue le mode, ma le crea. L’eleganza che ha proposto al mondo, sobria, precisa, essenziale, è diventata una grammatica riconoscibile, un alfabeto visivo che ha ridisegnato l’immagine dell’Italia e degli italiani nel mondo

Nel 1982 è stato il primo stilista italiano a comparire sulla copertina del «Time», e il secondo al mondo dopo Christian Dior: un riconoscimento straordinario, che ha consacrato il suo stile come espressione universale di modernità e la sua figura come simbolo internazionale del made in Italy. Ritratto da Andy Warhol come simbolo della contemporaneità, Armani ha sempre avuto un rapporto profondo con il linguaggio delle immagini. Ha costruito non solo un impero, ma un’estetica. Ha dialogato con la fotografia, scegliendo i fotografi che sapessero cogliere non solo i suoi abiti, ma la sua visione del mondo: da Aldo Fallai a Peter Lindbergh, a Paolo Roversi, ogni scatto è un tassello della sua narrazione. Il cinema è stato per lui un alleato naturale: ha vestito Richard Gere in «American Gigolò», contribuendo a definire l’immagine dell’uomo moderno; ha ridisegnato l’autorità femminile nei tailleur portati con disinvoltura da Michelle Pfeiffer; ha fatto del red carpet uno strumento narrativo. Il suo legame con la settima arte è stato così forte da spingere Martin Scorsese a dedicargli un documentario nel 1990, «Made in Milan», un ritratto intimo e raffinato del suo modo di pensare, vivere e costruire il vestire. E ancora oggi, nei film contemporanei lo stile Armani continua a essere scelto come segno visivo potente, come accade ne «La migliore offerta» di Giuseppe Tornatore, dove la femme fatale interpretata da Sylvia Hoeks veste Armani, a sottolineare l’ambiguità seducente e l’enigma estetico del personaggio. 

Giorgio Armani Privé autunno-inverno 2006. Courtesy of Giorgio Armani

Per Armani, il viaggio è sempre stato fonte di ispirazione profonda. Le sue collezioni riflettono un mix culturale sofisticato, mai didascalico, capace di accogliere suggestioni orientali, memorie africane, linee architettoniche d’Occidente. Questa capacità di sintetizzare mondi diversi l’ha portato ben oltre le passerelle: le sue creazioni sono entrate in musei di tutto il mondo (dal Metropolitan Museum of Art di New York al Victoria and Albert Museum di Londra), riconosciute come opere di design e testimonianza estetica di un’epoca: nel 2000 il Guggenheim di New York gli ha dedicato una retrospettiva per i suoi 25 anni di carriera. Dopo aver toccato Bilbao, Londra, Roma e Tokyo, la mostra itinerante si è conclusa nel 2007 alla Triennale di Milano. Lo stile Armani ha attraversato generazioni, culture e media, diventando parte della nostra iconografia collettiva. In quella celebre fotografia scattata da Andy Warhol, Keith Haring è immortalato davanti alla vetrina dello store Armani di New York: un artista di strada, simbolo della cultura pop e del pensiero libero, che si confronta idealmente con Armani, che attraverso il rigore, la misura e la rivoluzione silenziosa della sua giacca destrutturata ha conferito una nuova libertà al corpo femminile, precorrendo i tempi e ridisegnando l’idea stessa di potere e autonomia. Due visioni opposte e complementari: l’uno esplosivo, l’altro misurato; entrambi capaci di cambiare il modo in cui il mondo guarda e si guarda. 

Il suo rapporto con la città di Milano, cuore pulsante della sua storia, si è concretizzato anche in un gesto di restituzione culturale: l’Armani/Silos, nato nel 2015 in un ex magazzino granario, è oggi un luogo aperto alla comunità e agli studiosi. Non solo museo della sua opera, ma archivio vivo del suo pensiero estetico, spazio accessibile in cui la memoria diventa materia viva per immaginare il futuro. Nel 2025, Armani celebra un anniversario speciale: vent’anni di Armani Privé, la sua haute couture. Non solo una collezione, ma uno spazio di libertà creativa: un laboratorio dell’anima in cui poter reinventare l’eleganza, ridefinire la bellezza e affermare con coerenza la propria idea di stile assoluto. Dal 21 maggio Armani/Silos ospita «Giorgio Armani Prive 2005-2025. Vent’anni di Alta Moda» (fino al 28 dicembre): personalmente curata da Giorgio Armani, la mostra presenta per la prima volta a Milano abiti della collezione di Alta Moda, lanciata a Parigi nel 2005: una selezione di circa 150 abiti da sogno è esposta sull’intera superficie del Silos, seguendo un racconto suggestivo che ne sottolinea lo stile senza tempo. 

Giorgio Armani Privé backstage ss 2025. Photo © Sgp

Signor Armani, che bambino era? C’è un ricordo preciso della sua infanzia a Piacenza che sente di portare ancora oggi, dentro ogni collezione? 
Di ricordi ce ne sono molti: i giochi sui prati lungo il fiume, le prime domeniche al cinema con mio padre: tutti ricordi che mi hanno segnato profondamente. Nonostante quello fosse un momento piuttosto turbolento della storia nazionale, la mia è stata un’infanzia relativamente tranquilla. Il mio mondo scorreva lento, gravitando intorno alla mia famiglia, ma era grande il desiderio di conoscere e scoprire tutto ciò che era là fuori. La stessa curiosità che è ancora oggi un elemento fondamentale del mio lavoro. Ogni collezione in fondo nasce da questa sete di scoperta. 

Come nasce, per lei, un’intuizione creativa? È più vicina a un lampo o a un lento scavo interiore? 
Un’intuizione creativa è un’illuminazione del momento, che richiede però un grande lavoro di scavo e di approfondimento per diventare concreta. È un momento quasi irrazionale che viene poi strutturato attraverso una grande razionalità progettuale. 

Il cinema è stato per lei non solo ispirazione ma anche linguaggio visivo. In che modo l’ha aiutata a raccontare l’eleganza? 
Ho una grande passione per il cinema neorealista italiano, che mi ha colpito da un lato per la veridicità dei caratteri che venivano rappresentati e dall’altra per la loro dignità. L’eleganza di quei personaggi era certamente diversa dall’idealizzazione e dal glamour trasmessi dal cinema di Hollywood: avevano qualcosa di tangibile e di vero con cui chiunque fosse cresciuto in Italia in quegli anni poteva identificarsi. La lezione che ho appreso da quel cinema è stata proprio la dignità: l’importanza del vestire con cura anche nell’estrema povertà. Era la stessa situazione che vivevo a casa mia con i miei genitori ed è un carattere che trovo profondamente italiano: riuscire a fare di più con meno, essere eleganti con poco. 

Ha creato una donna forte, essenziale, radicata e al tempo stesso libera. Che tipo di libertà ha voluto cucirle addosso? 
La libertà che ho voluto cucire addosso alla mia donna è quella di essere sé stessa, senza aderire a schemi di abbigliamento che la intrappolano in una figura in qualche modo preconfezionata, come se fosse vista unicamente da uno sguardo maschile. È una donna che sa essere sé stessa, libera dalle costrizioni. 

Qual è stata, se è possibile identificarla, la figura femminile reale o immaginaria che ha più influenzato il suo ideale di donna? 
Il mio ideale di donna è una persona che proietta un’irresistibile combinazione di grazia, forza e indipendenza di spirito: una femminilità decisamente contemporanea. Sa cosa vuole, ma rimane fedele al suo lato più femminile. Ha portamento ed eleganza. Sono tutte qualità che aveva mia madre: il suo stile e la sua bellezza erano naturali, e per questo ancora più autentici. 

È vero che «l’eleganza è una forma di rispetto»? 
L’eleganza è certamente una forma di rispetto, per sé e per gli altri. Ed è anche una forma di equilibrio: trovo che non possa esserci eleganza quando i toni diventano eccessivi. 

Giorgio Armani Privé backstage ss 2011. Photo © Sgp

Mi dice l’importanza che nella sua vita ha dato al Viaggio? 
Il viaggio per me è una grandissima fonte d’ispirazione, anche se, citando Proust, sono convinto che «il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi». Conoscere luoghi esotici, altre culture ed estetiche mi ha arricchito profondamente negli anni e ha avuto una grande influenza sul mio lavoro e sulle mie collezioni, ma riesco a trovare elementi interessanti anche in ciò che mi circonda, semplicemente osservando la realtà. 

Mi piacerebbe sapere se esiste un film, un libro, un compositore o una canzone che hanno particolarmente ispirato il Signor Armani. 
Il primo film che ricordo è «La corona di ferro» di Blasetti: una storia fantastica che mi rapì per quel che rappresentava di magico e per come tutto ciò era trasposto sullo schermo. Quel film ebbe un effetto fortissimo sulla mia fantasia: lo ricordo ancora oggi. Tra i miei libri preferiti, citerei Le Memorie di Adriano, di Marguerite Yourcenar, che narra in forma epistolare la vita e la morte di uno dei più grandi condottieri del mondo antico. Il libro, un inno alla bellezza, pensoso e toccante, mi ha sempre colpito per la contrapposizione tra il ruolo di valoroso condottiero e quello di grande pensatore che il personaggio assume nella trattazione narrativa. Il suo amore per la bellezza, che si scontra a volte con i doveri dell’essere un imperatore, restituisce un ritratto che mi ha sempre molto ispirato, che mi ha fatto riflettere. Una figura, quella di Adriano, nella quale a volte mi riconosco, condottiero audace e introspettivo. Tra i compositori, amo molto Giuseppe Verdi per la forza e l’intensità dei suoi pensieri che guidano una musica emozionante e potente. Ho sempre pensato che nessuno meglio di lui capisce l’animo e la mente di questo complicato Paese che è l’Italia. Quello che mi ha conquistato, infatti, è la complessità difficile da capire per chi si ferma alla superficie della sua musica. Ma è anche quello che ne fa un musicista immenso e un grande intellettuale. 

Vent’anni di Privè: quando ha capito che era giunto il momento di creare una linea che fosse l’essenza più pura della sua visione? 
Ho avvertito un bisogno nell’aria, e ho seguito l’intuito. Le mie clienti volevano creazioni sempre più esclusive, speciali, da occasione. Fu davvero una sorpresa quando decisi di avventurarmi nel settore dell’alta moda. Era il 2005, e scelsi di sfilare a Parigi. Coloro che trovarono insolita questa mossa, probabilmente non mi capivano. Tutto il mio lavoro si incentra sul processo creativo, senza mai porre un limite alle forme e ai modi attraverso cui mi esprimo. Giorgio Armani Privé rappresenta un modo per liberarmi dalle limitazioni pratiche del prêt-à-porter, realizzando allo stesso tempo il desiderio di una particolare cliente Armani. Penso che ci siano donne che amano il mio stile e sognano la bellezza speciale di un abito couture. 

Come definirebbe oggi la parola lusso, rispetto a vent’anni fa? 
Ora come allora, il lusso vero deve essere autentico, e nella mia proposta l’autenticità, di linee, di materiali e anche di comunicazione, è il primo carattere che emerge, da sempre. 

Nel suo percorso, quanto conta la ricerca di bellezza e quanto la capacità di sottrarre? 
Nel mio percorso la ricerca di bellezza e la capacità di sottrarre vanno di pari passo. Cercare bellezza, quindi, significa trovarla nelle cose, affinarla e sottrarre tutto ciò che è superfluo affinché la purezza che può essere della materia, della linea, di un colore o di un ricamo, emerga nel modo migliore, che sia quanto più possibile chiaro e non plateale. 

L’haute couture oggi è anche spettacolo. Lei invece, è sempre stato fedele a una bellezza silenziosa, intima quasi spirituale. È una forma di resistenza? 
La mia è senz’altro una forma di resistenza all’idea che la moda debba essere soltanto spettacolo o che gli abiti siano pensati solo per essere fotografati per editoriali meravigliosi. Penso che anche nell’alta moda, dove la componente di sogno è certamente ampia, si possa trovare una dimensione di realtà. Perché anche gli abiti di alta moda sono realizzati per persone vere, per occasioni che certamente esistono. La mia idea è sempre che la moda possa far sognare, ma che non debba mai rinunciare a tenere i piedi per terra, altrimenti non faremmo questo lavoro, ma saremmo costumisti per il teatro o per il cinema. 

Se potesse lasciare due parole come eredità e per il futuro di Privè, quali sarebbero? 
L’eredità che vorrei lasciare con la collezione Prive è proprio quest’idea di sognare tenendo i piedi per terra. Trovo che quando ci si danno dei limiti, quando si circoscrive la creatività entro un confine molto preciso, si possa davvero liberare la fantasia. Al contrario, poter andare ovunque è come non andare da nessuna parte, avere un limite invalicabile invece costringe ad affinare il pensiero dentro quel limite e lo libera in qualche modo. È un pensiero forse paradossale ma che per me ha molta forza, ed è creativamente molto stimolante. 

Che cosa significa nel mondo della moda «per sempre»? 
La sua è una domanda interessante, perché nel mondo della moda per sempre non esiste, visto che sei mesi dopo quello che si è fatto non ha più valore. Eppure trovo che per sempre sia il valore dei veri creatori che si muovono su un filo sottile nel quale catturano il tempo e lo superano. Forse nella moda essere per sempre è non essere mai troppo alla moda.

Giorgio Armani Privé backstage Fw 2019. Photo © Alfredo Piola

Maria Vittoria Baravelli, 30 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

Giorgio Armani: «L’eleganza è una forma di rispetto» | Maria Vittoria Baravelli

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