«Pittura e Poesia» di Francesco Furini, Firenze, Galleria degli Uffizi allestita nella mostra «Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la “meravigliosa passione”» alla Galleria Borghese di Roma

Concessione del Ministero della Cultura

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«Pittura e Poesia» di Francesco Furini, Firenze, Galleria degli Uffizi allestita nella mostra «Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la “meravigliosa passione”» alla Galleria Borghese di Roma

Concessione del Ministero della Cultura

Giovan Battista Marino «impazziva» per la pittura

Il poeta padre della cultura barocca che conquistò l’Europa, e grande amico di Poussin, ebbe una «meravigliosa passione» per l’arte, alla quale la Galleria Borghese dedica «una mostra colta che offre godimento e commozione»

Nel noto testo Documenti sul Barocco a Roma pubblicato nel 1920, Johannes Albertus Franciscus Orbaan afferma che la maggior influenza esercitata dall’Italia sui Paesi ultramontani non coincise con il Rinascimento, ma con «l’arte pittorica e poetica della fine del Cinquecento e del primo Seicento» che «entrò quasi in blocco nella vita artistica dei paesi conquistati incondizionatamente dall’incanto meridionale». Figura chiave di questa koiné alimentata dalla cultura barocca che, partendo dall’Italia, si impossessò dell’Europa estendendosi fino al Nuovo Mondo, fu senza dubbio il poeta al quale è dedicata la mostra «Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la “meravigliosa passione”», nella Galleria Borghese fino al 9 febbraio 2025

Il progetto, a cura di Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza, giunge dopo numerosi studi che si sono succeduti sul tema negli ultimi anni, in particolare un convegno del 2021 organizzato dagli stessi curatori. La mostra ha il merito di proporre per la prima volta i reciproci e profondi scambi tra le «due care gemelle nate d’un parto», poesia e pittura, che, attraverso Marino, finirono per pervadere tanto la produzione artistica, quanto quella letteraria dell’intero Seicento. Il percorso si snoda attraverso cinque sezioni in cui le opere esposte dialogano mirabilmente con gli ambienti della galleria. 

Ad accogliere i visitatori sono i protagonisti della mostra: «Pittura e Poesia», una tela di Francesco Furini eseguita poco dopo la morte del letterato, e il magnifico «Ritratto di Giovan Battista Marino» di Franz Pourbus, uno dei numerosi artisti che, al pari di Caravaggio e Guido Reni, rappresentarono il poeta. Seguono alcune favole ovidiane dipinte, come la celebre «Danae» di Correggio, a indicare nel Rinascimento il momento in cui per la prima volta il rapporto tradizionale tra lettere e arti venne ribaltato, come si può leggere già all’inizio del Cinquecento nelle carte di Leonardo. La seconda sezione è dedicata a La Galeria, il testo del Marino che programmaticamente affronta il rapporto tra parola e immagine, costituito da 624 brevi componimenti poetici dedicati a opere divise tra Pitture e Sculture. Pubblicato nel 1619, il volumetto è frutto della «meravigliosa passione» dell’autore per la pittura «della quale», scriveva, «non dico ch’io mi diletto, ma impazzisco». 

«Il regno di Flora» di Nicolas Poussin, Dresda, Gemäldegalerie Alte Meister. © Gemäldegalerie Alte Meister. Foto: Hp Klut

La passione si intreccia con la bramosia collezionistica nella continua ricerca di disegni, stampe e dipinti da porre in dialogo con i testi, ma soprattutto con una straordinaria memoria visiva e un altrettanto straordinaria immaginazione. Raramente, infatti, le poesie descrivono opere individuabili perché l’autore non solo spesso si diverte a nascondere le sue fonti visive come fa con quelle letterarie, ma soprattutto perché intende affrontare la sfida di rendere visibile con le parole ciò che in realtà è solo immaginato, evocando le sensazioni provate di fronte agli innumerevoli capolavori che poté ammirare nelle gallerie frequentate durante il suo peregrinare forzato tra Napoli, Roma, Venezia, Mantova, Torino, Parigi. L’impressione è che i dipinti certamente presi a modello, come la «Medusa» di Caravaggio, o quelli che probabilmente lo sono, come il «Sansone e Dalila» di Giovanni Battista Paggi esposto in mostra, servano per estendere tangibilità anche alle opere solo immaginate, nel gioco tutto barocco tra realtà e finzione. 

L’Adone, il poema più famoso del Marino, è il protagonista della terza sezione. Se guardando le opere che raffigurano l’amore tra il giovane e Venere, come lo splendido gruppo statuario di Cristofano Stati, è possibile comprendere l’«oscenità» che costò l’iscrizione del volume all’Indice dei libri proibiti, è soffermandosi sulle scene del compianto della dea sulle spoglie dell’amato che si possono intuire i motivi dell’«empietà» imputata al Marino perseguitato dal Sant’Uffizio già dal 1604 fino al 1690, ben oltre la sua morte. Imprigionato per tre volte, il poeta in un suo scritto carcerario lamenta: «S’havesse violata un’abbadessa, / posto foco ad altar […]  / ucciso un cappuccin vestito a messa. / S’avessi adulterato la Scrittura, / fattomi beffe del Papa e d’Iddio/ […] stimo se non pecco / le pene assai maggior del fallo mio». Difficile dire quale fosse esattamente l’errore imputatogli, ma certo quella perfetta sovrapposizione di Venere che piange Adone, ben esemplata dalla tela dell’Orbetto, alla figura di Maria che piange Cristo, è la prova più evidente di quel radicale sincretismo e neopaganesimo che permea l’intera produzione del Marino, a partire dalle Dicerie sacre e in particolare dalla Musica, scritta tra il 1612 e il 1614, che si apre con un lungo paragone tra Pan e Cristo per proseguire con l’equiparazione dei personaggi del mito a quelli del Cristianesimo. 

«Ritratto di Giovan Battista Marino» di Franz Porbus il Giovane, Detroit, Detroit Institute Museum

E forse è possibile pensare che l’attenzione del Marino per la Strage degli Innocenti, durata per almeno vent’anni in coincidenza con i suoi problemi con l’Inquisizione e culminata nell’edizione postuma del 1632, fu motivata non solo dal gusto squisitamente barocco di coniugare diletto e orrore, alimentato da una fortunata tradizione iconografica richiamata nella quarta sezione della mostra, ma anche dalla volontà di raccontare un giudizio e una pena spropositata e folle inflitta da un potere iniquo, ispirato da «Crudeltà» e «Furia», come scrive il poeta. 

L’ultima sezione celebra il connubio tra la fantasiosa penna del Marino e il sofisticato pennello di Poussin. I due si erano conosciuti a Parigi nel 1622 e fu proprio grazie all’aiuto del letterato napoletano che il pittore francese arrivò in Italia divenendo uno degli artisti di maggior fama. Poussin riprende, interpretandoli, i temi della speculazione mariniana e li traghetta ai secoli successivi. Se nel «Lamento sul Cristo morto» e nella «Venere che piange Adone» l’artista, riproponendo i due corpi maschili nella stessa posizione, esplicita quel sincretismo tanto caro al Marino, nello straordinario «Regno di Flora» recupera l’idea mariniana, ripresa da Ovidio e Lucrezio, dell’amore come forza suprema capace di rendere l’eternità attraverso il ciclo perenne di nascita e morte che regola la Natura

Si tratta, dunque, di una mostra colta e se non sempre i significati più profondi risultano evidenti senza la lettura dell’eloquente catalogo, allo spettatore resta comunque il godimento e, spesso, la commozione nell’accompagnare lo sguardo che scivola sulle superfici delle raffinate opere selezionate, con la lettura dei «meravigliosi» versi mariniani. 

Una veduta della mostra «Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la “meravigliosa passione”» alla Galleria Borghese di Roma

Dalma Frascarelli, 30 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

Giovan Battista Marino «impazziva» per la pittura | Dalma Frascarelli

Giovan Battista Marino «impazziva» per la pittura | Dalma Frascarelli