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Anna Orlando
Leggi i suoi articoliDa anni gli architetti delle Soprintendenze sono abituati a fare un mestiere leggermente diverso da quello per cui sono formati. Gli storici dell’arte meno, standosene questi più strenuamente arroccati nella loro torre eburnea di certezze o seducenti disquisizioni. Anche quando lavorano sul territorio, e devono «tutelare» nella perenne frustrazione di non poter studiare, pubblicare, scrivere.
È per questo che il ministro Franceschini ha pensato di preferire a loro gli architetti a capo delle posizioni strategiche nella direzione dei Beni culturali con il nuovo assetto delle Soprintendenze che le nomine ora ufficiali hanno pressoché definito? Perché gli architetti sono più capaci di adeguarsi a un ruolo di manager, che è quello che oggi si chiede insieme ai requisiti tecnici?
Vale la pena, come esercizio di coscienza, porsi queste domande, soprattutto in vista della formazione delle prossime generazioni, visto che, Deo gratias, parrebbe tornare la storia dell’arte, insieme alla musica, come materia fondante nella formazione delle nuove generazioni. È davvero così o saranno materie opzionali? Sono annunci demagogici quelli dei politici o sarà un fatto concreto e tangibile? Toccherà attendere, per verificare, ma intanto si faccia una riflessione: se gli architetti la spuntano nel sistema odierno dei Beni culturali rispetto agli storici, non sarà forse perché la nostra categoria manca troppo spesso di senso pratico, concretezza, volontà di sporcarsi le mani scendendo dall’olimpo del bello?
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