Bernardo Pizzorno. Fra Antonio. Bernardo Strozzi. Il Cappuccino. Il Prete Genovese. Sempre lui (1582-1644), nelle diverse fasi di una vita avventurosa, al limite del lecito. Prima quella di ragazzino, nato nell’entroterra di Genova nel 1582, cresciuto nel cuore della città vecchia e formatosi con il senese Aurelio Lomi, che evidentemente lo fa innamorare del mestiere di pittore. A seguire, quella di frate, costretto a fingere una vocazione, ma in realtà accolto dal nuovo potente ordine dei Cappuccini perché la madre, rimasta vedova prestissimo, non riesce più a provvedere ai figli con l’umile mestiere di filatrice. Poi, finalmente, quella di pittore, uscito dal convento e inizialmente semiclandestino, quindi con un nuovo cognome preso a prestito da qualche protettore, forse il poeta Giulio Strozzi: si nasconde a Milano, poi nel suo paese natale e finalmente torna a Genova, e può lavorare solo perché è protetto da un mecenate potente come Giovan Carlo Doria. La parabola finisce da religioso, tale rimane, finalmente libero dalle briglie dell’ordine monastico e della Chiesa (che lo processa per esercizio illecito del mestiere di pittore) perché fuggito a Venezia (1633), dove dà sfogo al suo Barocco effervescente per ancora dieci anni.
Questa, per sommi capi, la vicenda biografica del genovese, come ricostruita dopo anni di ricerca d’archivio e presentata nella mostra del 2019 (Genova, Palazzo Nicolosio Lomellino, curata con Daniele Sanguineti). Da qui si è ripartiti. Da uno scenario più chiaro anche dei suoi rapporti di committenza, per una serie di successivi approfondimenti che trovano una sintesi nella mostra antologica «Strozzi beyond Caravaggio» (Strozzi oltre Caravaggio), al Kadriorg Museum di Tallinn dal 29 marzo al 6 luglio. Gli art lover di questa parte d’Europa scopriranno un grande pittore. La comunità scientifica avrà un’occasione di conoscere meglio alcuni aspetti della sua arte. Perché Tallinn? Aleksandra Murre, direttrice del Museo statale della capitale estone, coordina da tempo progetti di cocuratele internazionali; questa volta per valorizzare l’intervento di restauro di un loro dipinto storicamente attribuito a Strozzi, una versione dei suoi Concerti in realtà di bottega, con i tocchi finali del maestro ben evidenti, quindi probabilmente fin in origine spacciata per sua. Accanto, si potrà vedere la versione in prestito dalla Fondazione Sicilia, di maggiore qualità, con «più Strozzi e meno bottega».
L’iconografia ha suggerito il taglio della mostra e i temi principali: la messa a fuoco di Strozzi «pittore della realtà» e il rapporto con Caravaggio, sviluppato criticamente in catalogo (bilingue estone e inglese) e con opere esemplari (e magnifiche) in mostra, tra copie pressoché fedeli, reinterpretazioni, altre in cui semplicemente medita il messaggio del Merisi, lo fa proprio e lo rielabora magistralmente con la sua arte, che mi piace definire in bilico tra Manierismo caravaggesco e Barocco naturalistico. E, ancora, la mostra vuole riflettere sull’inesauribile verve sperimentatrice del Cappuccino (tecniche, supporti, materiali) e sulle dinamiche delle sue botteghe a Genova e a Venezia, tra sconosciuti e nomi più noti: Giovanni Andrea De Ferrari a Genova e lo splendido Ermanno Stroiffi a Venezia.
Nelle sei sale eleganti di un palazzo settecentesco in un parco poco lontano dal centro, un totale di 45 opere (31 squisiti autografi, 5 disegni, 5 opere di bottega, 4 di allievi noti) per raffronti molto puntali, quasi «didattici». È il risultato di tre anni di lavoro con la preziosa cocuratela di Greta Koppel, la conservatrice del museo, che sta anche organizzando un convegno per un ulteriore approfondimento il 10 maggio. Abbiamo collezionato prestiti eccezionali; un vero distillato in cui i capolavori dei musei liguri, con il Comune di Genova generoso capofila, sono accostati a opere mai viste o quasi nelle mostre italiane: dalla «Barbara Strozzi» della Gamäldegalerie di Dresda al «San Pietro che cura il paralitico» del museo ucraino di Leopoli, alla «Visitazione» del Museo Nazionale di Varsavia. Infine, opere riscoperte ed esposte pubblicamente per la prima volta, tra le quali spicca la «Santa Apollonia» di collezione privata, emblematica nel suo equilibrio precario tra sacro e profano, tra Manierismo e Naturalismo, tra pittura lombarda e genovese. Spesso Strozzi ci mette alla prova quando vogliamo decifrarne le componenti stilistiche (e non solo). Aver raccolto dati, documenti e opere in tutti questi anni gioverà, spero, non tanto al desiderato assestamento cronologico del catalogo (dopo tanti tentativi di fatto falliti), ma soprattutto all’accettazione di un dato per me certo: i pittori di genio sfuggono alle esigenze di classificazione, che sono nostre e non loro. Certamente non di Strozzi, che mai rinnega sé stesso o i propri maestri ispiratori; fa fughe in avanti, ma torna volentieri anche a soluzioni precedenti. Ci spiazza. E di fronte alla bellezza della sua pittura spumeggiante, generosa nel colore, bizzarra nel tocco, estrosa negli accostamenti cromatici, va bene così.
Anna Orlando è cocuratrice della mostra

Bernardo Strozzi, «Sant’Apollonia (Il cavadenti)», collezione privata