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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliGoya è come la vita, un enigma. Goya. Storia, vita e opere di un artista totale è, quindi, un libro che Marco Di Capua ha scritto per formulare con maggiore precisione, perché riflesso nello specchio di un’opera geniale, l’insondabile, splendida e contraddittoria natura delle cose.
In quanto «artista pluridimensionale» e «vaso dilatatore e conduttore dell’esperienza artistica universale», Goya è, nelle parole dello storico dell’arte romano, «un artista totale e senza tempo, (…) in grado di suscitare ancora oggi una narrazione tanto fluviale, vasta, attuale, dove tutta un’esistenza rocambolesca si intreccia a un’opera davvero ineguagliabile e varia, per qualità, potenza, oscurità e lucentezza. Un’opera capace di contenere in sé e di rappresentare tutta la vita – anche la nostra, quella che stiamo vivendo adesso – gli attimi, i gesti e i sentimenti condotti al loro acme d’intensità: la tenerezza, forse una specie di felicità, la passione erotica, la bellezza, la commedia, il gioco, la deformità, la follia, l’angoscia, le enormi paure, la crudeltà estrema, l’eroismo, infine la compassione».
A guidarci nei meandri del destino, della storia e dell’arte, una prosa vivida, che conduce il lettore con ritmo spasmodico e uno stile narrativo teso e torrenziale, tra le montagne russe degli eventi del tempo, delle guerre, delle tragedie epocali, ma anche delle risposte di un’arte che si fa catartica proprio per aver tradotto in termini sublimi quei foschi splendori, quei naufragi e relative temporanee resurrezioni. L’autore, conducendoci teatralmente per mano, ci fa sentire e vedere Goya come in un metafisico qui e ora, dando vita a un libro che, con termine oggi abusato, potremmo chiamare «immersivo».
Siamo con Goya quando, alla fine degli anni Settanta del Settecento realizza il ciclo di cartoni per arazzi destinati alle residenze reali. Sempre con lui, quando la sua vita viene stravolta, come nello stesso giro di anni quella di Beethoven (suo «fratello in musica»), tra il 1792 e il 1793, dalla sordità. Nella descrizione del ritratto della Duchessa d’Alba, sentiamo l’amore che Goya provò per lei. Nel ritratto di Manuel Godoy, primo ministro del re Carlo IV e amante della regale moglie Maria Luisa, intercettiamo la psicologia del rapporto tra due uomini in febbrile ricerca: del potere, nel caso di Godoy, della verità, per quanto concerne Goya.
Goya ritrae tutti i componenti della corte del re di Spagna, e ogni volta è un capolavoro. Ma nel ritratto corale, «La famiglia di Carlo IV», del 1800-01, la pittura diventa qualcosa di più, quasi concentrato sublimato di tutte le apparenze. Scrive Marco Di Capua: «Corpi, sete, medaglie, onorificenze, gioielli: nella millenaria storia della pittura non era mai accaduto, nemmeno col Tiziano terminale, o, poniamo con Franz Hals e Rembrandt, che si potesse sollecitare a quel modo la pelle della pittura, dove i colori sono trattati come esseri viventi, e darle la caccia e poi raccogliere - costringendoci ad avvicinarci a tutto quel rigoglio, per ammirarne l’incredibile fioritura - così innumerevoli e audaci pulsazioni visive, una tale scarica di colpi lucenti, strappi e sbalzi cromatici, aloni, graffi sapienti, macchie a 24 carati, bagliori, riflessi come di pietre preziose e rialzi sulla tela simili all’iridescente svolazzare di insetti speciali».
Dall’ebbrezza della materia pittorica viva, agli abissi della coscienza: la serie dei «Capricci», del 1799, e poi i «Disastri della guerra», 1810-20, sono trascrizione allucinata, visionaria e insieme vera dell’umana follia, che però Goya non giudica, ma illustra come nessuno aveva mai fatto prima, perché facendolo parla anche delle oscurità sue e di tutti. Le «Pinturas negras» della Quinta del Sordo (1820-23) sono fantasmagorie privatissime e universali, cupe e spaventose, che, tuttavia, nell’artista totale che fu Goya, convivono con gli splendori cromatici ed erotici delle «due Veneri» del 1800-03, la «Maja desnuda» e la «Maja vestida». In esse, secondo Di Capua, il pittore spagnolo «esercita il suo consumato eccelso virtuosismo, tutto lumeggiature perlacee, tocchi, filamenti di colore trasparente e tutti quei meravigliosi gesti pittorici che nascendo muoiono».
A un anno dalla morte, nel 1827, 81enne, nel suo esilio di Bordeaux, realizzerà un ultimo miracolo della pittura, «La lattaia di Bordeaux». Nelle parole di Marco Di Capua, la tela «non è soltanto un estremo capolavoro, ma la freccia che col suo arco, Goya, poco prima di morire, ha scoccato verso l’alto, come dicendo al mondo: andate a vedere dove cade, e lasciatemi là».
Goya. Storia, vita e opere di un artista totale, di Marco Di Capua, 356 pp., ill., Galaad Edizioni, Teramo 2025, € 35
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