Image

Interno della Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà in Borgo Ognissanti a Firenze

Foto: Francesco Bini

Image

Interno della Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà in Borgo Ognissanti a Firenze

Foto: Francesco Bini

Grida d’allarme per il Buonsollazzo e Santa Maria dell’Umiltà

Ci sono periodi della storia dell’arte che vengono ancora trascurati in Toscana portando ad una progressiva scomparsa di fondamentali testimonianze del Settecento

Marco Betti

Leggi i suoi articoli

È fatto assolutamente allarmante la (s)vendita in corso della Badia del Buonsollazzo (nota anche come Monastero di San Bartolomeo), tra Vaglia e Bivigliano, complesso religioso trappista progettato tra il 1705 e il 1709 su volere di Cosimo III de’ Medici dal grande architetto e scultore Giovan Battista Foggini e decorato da sculture in stucco di Giuseppe Broccetti (quelle che restano, visti i furti di quasi tutti gli arredi artistici, inclusi alcuni dipinti, un preziosissimo ostensorio in argento massiccio e lo sportello, in bronzo dorato, del ciborio, capolavoro della toreutica del Broccetti, fuso nel 1723 e donato dal Granduca ai monaci cistercensi della Trappa). Il totale stato di abbandono rende quasi impossibile immaginare quale doveva essere l’elegante aspetto dell’edificio, ubicato in un luogo particolarmente caro a Cosimo III, tant’è che non lontano dalla Badia il Granduca commissionò anche la progettazione, sempre a Foggini, della Cappellina di San Cerbone, piccolo gioiello tardobarocco, anch’esso in precarie condizioni conservative. 

In un noto sito di annunci immobiliari, la Badia del Buonsollazzo, descritta come un «casale» (sic), viene pubblicizzata come un affare imperdibile: appena 2.750.000 euro per oltre 5.700 metri quadrati di superficie. Ma non occorre uscire dal centro cittadino: in via Sant’Agostino, nei pressi di Santo Spirito, sorge il piccolo Oratorio di San Carlo dei Barnabiti, attualmente adibito a uso culturale. Per chi avesse la straordinaria fortuna di trovarlo aperto, si svelerebbe un fasto settecentesco inimmaginabile dall’esterno: il sontuoso affresco della volta, raffigurante «La Vergine in gloria con san Paolo e san Carlo Borromeo», opera di Sigismondo Betti datata 1721, è incorniciato da una spettacolare quadratura architettonica di Domenico Stagi, mentre alle pareti nella cupola e sui pennacchi si trovano le vivaci pitture di Giuseppe Zocchi. Passata però la momentanea emozione dell’impatto, ecco che l’edificio si presenta in tutto il suo degrado: gli affreschi rovinati, quasi illeggibili anche a causa di reti che ne impediscono una visuale nitida, sembrano il simbolo della decadenza odierna, non certo quella ingiustamente ascritta agli ultimi Medici. 

In condizioni ben peggiori si trova la Chiesa di Santa Maria dell’Umiltà, in Borgo Ognissanti, annessa all’Ospedale Vecchio di San Giovanni di Dio: gioiello del tardobarocco, la chiesa, ormai chiusa da anni, fu progettata a partire dal 1701 da Carlo Marcellini «per pura carità», dal momento che l’artista non volle un compenso per questo lavoro, bensì soltanto l’onore della propria sepoltura all’interno dell’edificio. E a Marcellini si devono anche i putti in stucco sugli altari a rischio di rovinare al suolo a causa del cattivo stato di conservazione che caratterizza anche i dipinti e gli affreschi. Un rischio non peregrino, se si considera che una notte dell’aprile del 2015 si è staccato, e conseguentemente si è sbriciolato in centinaia di pezzi per strada, il medaglione in pietra raffigurante la Vergine, scolpito anch’esso da Marcellini e originariamente posto sulla facciata della chiesa. A quasi dieci anni dalla caduta, il bassorilievo lapideo di Marcellini giace ancora oggi frantumato e abbandonato su un pancale di legno dentro la chiesa, simbolo suo malgrado dell’incuria che regna su quel luogo. 

Un elenco non esaustivo ma quantomeno indicativo sarebbe troppo lungo poiché, nonostante gli sforzi, ci sono periodi della storia dell’arte che vengono ancora troppo spesso trascurati in Toscana: sono passati più di cinquant’anni dalla pubblicazione del grido di aiuto di Silvia Meloni Trkulja, intitolato Non dite «queste croste ributtatele in Arno»: già allora, subito dopo l’alluvione, si presentava la necessità di focalizzare l’attenzione del pubblico anche sull’arte toscana di periodi meno noti, in particolare appunto l’arte del Seicento e del Settecento. Già nel 1971 il grande Ernst Gombrich aveva ben dimostrato quanto sia sbagliato applicare le idee di progresso e di gerarchia alla storia dell’arte, giacché si rischia di creare pericolose classifiche. Eppure, dopo oltre mezzo secolo, non si può dire che la situazione sia migliorata, anzi: nel nostro caso assistiamo a una progressiva scomparsa di fondamentali testimonianze di uno dei periodi più culturalmente vivaci della storia della Toscana. Secolo dei lumi è il Settecento, un periodo di gloria e di committenze medicee quasi senza precedenti, ma una fitta coltre di nebbia da tempo ne oscura lo splendore, tanto che oggi ci appare tragico citare la frase di una canzoncina scherzosa cantata da Mina negli anni Sessanta: «Questo Settecento, ahimè, non è certo il secolo fatto per me».

Sportellino del ciborio d’argento di Giuseppe Broccetti trafugato dalla badia di San Bartolomeo al Buonsollazzo (ubicazione attuale sconosciuta)

Marco Betti, 25 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

Grida d’allarme per il Buonsollazzo e Santa Maria dell’Umiltà | Marco Betti

Grida d’allarme per il Buonsollazzo e Santa Maria dell’Umiltà | Marco Betti