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Ahmet Günestekin di fronte alla sua opera «Disappeared Language» (2021)

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Ahmet Günestekin di fronte alla sua opera «Disappeared Language» (2021)

Günestekin: l’«artista del popolo», da Istanbul a Venezia

Popolarissimo in patria (e quasi sconosciuto all’estero), simbolo dell’opposizione anti Erdogan, l’artista turco è ben cosciente di come il potere possa manipolare la cultura. Intanto ha acquistato Palazzo Gradenigo per aprirlo nel 2026 ai giovani, turchi e non

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Alessandra Mammì

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Ahmet Güneştekin fa le cose in grande. Ha appena inaugurato una gigantesca mostra («The Lost Alphabet», fino al 20 luglio) nel più vasto spazio espositivo di Istanbul, l’ArtIstanbul Feshane: ottomila metri quadri sul Corno d’Oro ricavati da un’ex fabbrica di tessuti ottomana, restaurata e riadattata dal Comune tra il 2022 e il 2023. In Italia ha da poco acquistato dalla Cassa Depositi e Prestiti Palazzo Gradenigo (storico edificio secentesco a Venezia, nel sestiere di Castello, ed ex sede di uffici comunali) per farne la casa europea della sua fondazione, la Güneştekin Art Refinery, onlus attiva da anni nel sostegno e la diffusione della giovane arte turca nel mondo. 

Ha 1,3 milioni di follower sulla sua pagina Instagram e dichiara di essere l’artista più pagato della Turchia dove, grazie alla sua popolarità, è persino chiamato a far da testimonial in campagne pubblicitarie di brand famosi nel Paese quando non è direttamente incaricato di progettarle lui stesso. Eppure tanta indiscutibile fama, così rara per un artista visivo, fa fatica a superare i patrii confini e all’estero il suo nome e il suo lavoro non sono altrettanto conosciuti e riconosciuti.

Di certo l’aver acquistato un edificio storico nel cuore di Venezia, che se la fortuna vuole sarà inaugurato per la Biennale Arte del 2026, è cosa che non passerà inosservata. Non solo per l’investimento già imponente al momento dell’acquisto (10 milioni di euro) ma anche probabilmente per il delicato e altrettanto costoso restauro affidato allo studio TA di Alberto Torsello, tra i più  stimati e accreditati architetti veneziani che operano nel campo del restauro, della valorizzazione e del riutilizzo dell’edilizia storica come dimostrano gli importanti interventi sulla Scuola Grande di San Rocco, le Serre di San Marco, Palazzo Ducale e ora gli archivi della Biennale. Sarà Torsello a dare forma al progetto di Güneştekin che si propone di trasformare i cinque piani e circa duemila metri quadrati di Palazzo Gradenigo non solo in uno spazio espositivo per il suo lavoro ma anche in un ponte culturale che permetta a giovani artisti (turchi e non solo) di entrare in contatto con la cultura visiva internazionale di scena a Venezia. 

È la sua storia a renderlo sensibile ai bisogni di colleghi più fragili di lui. Perché lui fragile non è di certo: di origine curda, nato nel 1966 da una famiglia di operai in un villaggio della provincia di Batman nell’estremo oriente della Turchia, approdato all’arte piuttosto tardi nella vita, dopo aver per tutta la giovinezza lavorato nel commercio, Güneştekin attribuisce gran parte del suo successo a due qualità «che non dovrebbero mai mancare a un artista: l’autostima e il coraggio» (parole sue). Aveva 36 anni quando da principiante assoluto riuscì, grazie all’intervento di un amico deputato curdo, a ottenere per la sua prima mostra uno dei più prestigiosi e ambiti spazi pubblici di Istanbul e a capire, dunque, come il potere possa manipolare la cultura.

Da allora in realtà il potere o, meglio, le ingiustizie del potere cerca di combatterle con le parole e con le opere. Mescolando ogni tecnica e disciplina dalla pittura alla scultura, dall’assemblage alla ceramica, dal video alla installazione fisica e sonora, Güneştekin firma una produzione muscolare, bulimica, fin troppo generosa di forme, materie e tematiche, molto diversa dai ben più minimalisti codici del sistema internazionale che domina l’arte. Lui ne è perfettamente consapevole. Sa bene che sia la rivendicazione della sua etnia curda, sia il suo lavoro di certo non in linea con l’«international style», gli procurano non poche antipatie in patria. Ma non se ne preoccupa e in nome dell’autostima risponde: «Non sono mai citato fra i più importanti artisti turchi, non compaio nei libri di storia contemporanea o nelle recensioni dei critici potenti ma sono comunque io l’artista più popolare, più amato e più vicino alla gente del mio Paese».

Ne è un esempio l’immensa mostra «The Alphabet Lost» (L’alfabeto perduto) di scena a Istanbul fino al 20 luglio, curata dallo storico dell’arte tedesco Christoph Tannert con la direzione artistica di Angelo Bucarelli. Centinaia di opere dai quadri alle ceramiche, dalle sculture alle molte gigantesche installazioni: torri di valigie che parlano di migrazioni ed esili; assemblage di grandi lettere in bronzo che incorniciano una pietra evocando una censura; pareti di oggetti domestici ammassati in una unica maceria per ricordare cataclismi, terremoti, bombardamenti; colline di scarpe di plastica che rimandano a stragi o addirittura genocidi. E accanto, come contrappeso, consolazione e rifugio, moltissime pitture dalle forme luminose e astratte con mistici simboli di tradizione iconica mediorientale.

Ma l’opera più politica ed emblematica è «Disappeared Language» del 2021. Un lavoro work in progress composto da un sovrapporsi di cartelli stradali, dove vie e piazze portano i nomi di vittime del regime per lo più scomparse nel nulla. Le stesse che da 25 anni vengono rivendicate davanti al liceo di Galatasaray dal movimento delle Madri del Sabato, nato sull’esempio delle Madri di Plaza de Mayo argentine. È la pacifica e silenziosa protesta dei familiari di uomini e donne misteriosamente spariti perché considerati scomodi o oppositori del potere.

«Disappeared language» è diventata un simbolo. Tanto che è stata eletta come altro luogo del raduno ogni qualvolta venga esposta. Accadrà anche qui, nel Feshane Art Institute, grazie a una Municipalità che evidentemente ne accoglie la protesta e il dolore.

Non è un mistero del resto che il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, esponente di spicco dell’opposizione al presidente Recep Tayyip Erdogan e suo più pericoloso avversario alle prossime elezioni presidenziali del 2028, sia un grande sostenitore di Ahmet Güneştekin. Così come lo è praticamente l’intera comunità curda, compresi grandi imprenditori che ne fanno parte e che sono suoi fedeli collezionisti e sponsor. Ma il sostegno di Imamoglu  a questo artista corrisponde anche alla sua idea di una «nuova Turchia» che metta al primo posto l’arte e la cultura, come dimostrano, oltre al già citato Feshane, i tanti centri espositivi e polivalenti che sono sorti nella capitale sotto la sua amministrazione: dal sorprendente Digital Museum sul Bosforo che unisce intrattenimento e scienza, all’Istanbul Modern firmato da Renzo Piano fino al Gazhane Museum nella parte asiatica, ex gasometro trasformato in centro multifunzionale molto frequentato dai giovani. Non stupisce allora che agli occhi di questo leader anti Erdogan sia proprio Ahmet Güneştekin, con tutto il suo bagaglio etnico, ideologico e politico e la sua rete di follower, l’uomo adatto a diventare «l’artista del popolo» di una nuova Turchia. Ora pronta a sbarcare anche a Venez

Ahmet Günestekin, «A Person Is Not A Bird That Flies Away» (2021, ampliata nel 2023)

Alessandra Mammì, 23 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

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