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Giovanni Pellinghelli del Monticello
Leggi i suoi articoli«I cartoni dei Carracci: un mito in divenire», dal 10 aprile al 6 luglio alla National Gallery, offre la rara occasione di vedere i ciclopici cartoni preparatori (202,5x398,8 cm) di due affreschi della Galleria di Palazzo Farnese (1599-1600), opera di Agostino e Annibale Carracci. Di conservazione delicata per le dimensioni eccezionali e le caratteristiche tecniche (carboncino e gesso bianco su carta con successivo fissaggio grigio ad acqua), i disegni furono realizzati come mappatura strumentale delle sezioni dei futuri affreschi e offrono la visione «dietro le quinte» della loro prassi esecutiva.
Opera di Agostino (ma anche Annibale ebbe certamente mano nell’ideazione e stesura dei disegni), già di Sir Thomas Lawrence (1769-1830) a testimoniare la loro perenne carica ispirativa, sono entrati nella National Gallery nel 1837 donati da Francis Egerton, fondatore della National Portrait Gallery. I fratelli Carracci giungono a Roma nel 1594, chiamati da Odoardo Farnese (1573-1626, figlio minore del duca di Parma Alessandro), futuro creatore di una delle più squisite collezioni di sculture antiche di Cinque-Seicento. Cardinale a 18 anni, Odoardo aveva ereditato nel 1592 il già celebre Palazzo Farnese a Roma e poco dopo affidò ai due Carracci l’enorme committenza di decorarne le stanze: prima, dal 1594 ad Annibale, il proprio Studiolo con le «Fatiche di Ercole» e poi, coinvolgendo Agostino, dal 1597 la titanica impresa della Galleria Farnese.
Dell’ambizione del progetto danno prova questi cartoni superstiti, in sé opere d’arte a pieno titolo che i segni visibili d’utilizzo pratico (le piccole perforazioni per la copia dei contorni, ad esempio) rendono ancor più seduttiva testimonianza dell’inventiva artistica carraccesca. Con episodi delle Metamorfosi di Ovidio, Annibale e Agostino celebrano gli amori degli dèi (il completamento degli affreschi principali nel 1600 coincide col matrimonio del duca Ranuccio, fratello di Odoardo, con la dodicenne Margherita Aldobrandini, bisnipote del regnante papa Clemente VIII), animando quei soffitti di dèi e semidei marini, putti, ninfe e tritoni fra le onde, ispirati sia dalle antichità romane sia dai loro predecessori più recenti e più illustri (Michelangelo e Raffaello) mentre l’illusione ottica dei quadri incorniciati sospesi dal soffitto a volta è dovuta all’uso delle false architetture, già invalsa invenzione bolognese.

Agostino Carracci, «Cefalo trasportato da Aurora sul suo carro», 1599 ca