Francesca Scoppola, Veronica Rodenigo
Leggi i suoi articoliQuesto libro descrive il commissariamento del Mose (anzi, Mo.S.E.: acronimo dal precario sapore biblico di Modulo Sperimentale Elettromeccanico). Un lustro chiave (2015-20) della ultratrentennale storia di questa impresa ha permesso di giungere finalmente all’impiego delle dighe mobili a scomparsa, uniche al mondo, realizzate a difesa della laguna.
L’autore Giuseppe Fiengo è stato uno dei tre commissari nominati dallo Stato (dal 2015 al 2020), tuttavia non dice dove sia «la scelta giusta» perché essa va contestualmente ricercata e messa in discussione. L’equilibrio non è mai scontato. Fiengo è nato negli Stati Uniti da famiglia italiana e questi Racconti aperti sono la sua testimonianza: attenta ai principi, ma realistica e senza illusioni. Descrive le difficoltà incontrate e definisce lapidariamente la nostra conduzione dei lavori pubblici «un esempio da non seguire».
Da un lato lo strumento messo a disposizione dalla legge che ha previsto il commissariamento «nei casi di grave corruzione o di infiltrazioni mafiose» è quello di nominare «amministratori straordinari con il compito di portare a compimento le opere pubbliche progettate» e di «salvaguardare nel contempo l’occupazione delle imprese coinvolte nel malaffare».
Dall’altro Fiengo è esplicito: «Il mio compito principale sarebbe stato quello di chiudere progressivamente questi rubinetti di danaro pubblico che consentivano alle imprese che governavano il Consorzio Venezia Nuova di guadagnare il superfluo e di avere concreta disponibilità per oboli e tangenti». È un racconto non del tutto a lieto fine, come ogni storia vera. Lo si intende subito nel riferimento al cosiddetto «decreto agosto» del 2020 che aveva nominato un nuovo commissario liquidatore unico.
Secondo Fiengo sarebbe un errore sopravvalutare le macchinazioni e gli intrighi: la realtà è complessa e nessuno ne è arbitro assoluto. Ma altrettanto grave e colpevole è sottovalutare i furti continui e i tranelli. La sfida del Mose che vuole far comprendere al lettore in realtà è semplice, in bilico tra capacità di innovazione e di continuità: non alternative ma complementari e in continua metamorfosi.
Ma è una sfida non delegabile: l’opera in ogni sua singola parte non è solo dotazione, armamento, è prima di tutto un’opportunità di impiego che dev’essere sapiente e tempestivo. Che richiede capacità di manutenzione e modifica, e dunque coinvolge le persone, non solo le cose. Nuove tecniche per antichi fragilissimi equilibri. Chi gestirà il Mose e come? Possibile che nessuno ci avesse ancora pensato? Una distinzione necessaria almeno risulta chiara: quella tra spesa e investimento.
[Racconti aperti sul MOSE e la salvaguardia di Venezia, di Giuseppe Fiengo, 158 pp., 6 ill., Alpes, Bologna 2022, € 15]
Intanto il Mose è diventato una «peocera»
Non solo stalli e nuovi slittamenti di fine lavori. La cronaca del Mose è scandita anche dal progressivo degrado delle sue 78 paratoie (e relative cerniere) e dall’incertezza sulle tempistiche della manutenzione, necessaria ma mai avvenuta. Il Ministero per le Infrastrutture ha recentemente fissato la nuova deadline per il completamento lavori a settembre 2023 ma il commissario straordinario Elisabetta Spitz parla di un ulteriore slittamento a dicembre 2023 e di una ripresa dei cantieri appena a metà giugno.
La messa in funzione della mastodontica opera dal 2020 è prevista, infatti, in forma ancora sperimentale e solo in condizioni di marea eccezionale (per ora superiore ai 130 cm). Intanto le paratoie, posizionate tra 2013 e 2019, avrebbero dovuto essere oggetto di una manutenzione ordinaria ogni 5 anni e di una straordinaria ogni 15, per un totale di 18 paratoie all’anno. Invece, come in precedenza avvenuto per i cassoni d’alloggiamento, sono diventate fertilissimo habitat per la mitilicoltura.
Lo documenta bene il video relativo all’indagine del Nucleo di polizia economica e finanziario di Venezia finalizzata ad appurare danni e relativi costi aggiuntivi. Il documento, risalente allo scorso anno, mostra alcune paratoie sollevate e interamente coperte da cozze («peoci», in veneto) e alghe. Insomma, una vera e propria peocera. Se il Mose, entrato a regime, servirà forse per qualche anno a mitigare le situazioni di emergenza, certo non potrà farlo nei decenni successivi e tantomeno lo farà con Piazza San Marco (tra le aree più basse della città) dove la zona antistante la Basilica è oggi un cantiere per la realizzazione del sistema di protezione attraverso paratoie in vetro. [Veronica Rodenigo]