Una veduta della mostra «Luisa Albertini, giorno per giorno. Segni Forme Colori» a Villa Carlotta

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Una veduta della mostra «Luisa Albertini, giorno per giorno. Segni Forme Colori» a Villa Carlotta

I segni, le forme e i colori di Luisa Albertini

Nella Villa Carlotta le coloratissime opere dell’esponente dell’Astrattismo comasco che attingeva all’immaginario archetipico di Jung e alle forme delle culture del Sud del mondo

Nata a Como nel 1918 e scomparsa, sempre a Como, alle soglie dei cento anni, Luisa Albertini visse in gioventù la stagione formidabile dell’Astrattismo comasco degli anni Trenta, per attraversare poi l’intero secolo e oltre, avvalendosi di linguaggi espressivi e materiali sempre diversi, dalle terrecotte smaltate, che presentò alla IX Triennale, 1951, agli acquerelli; dai lavori a smalto su rame e bronzo, esposti nel 1959 alla Galleria Barbaroux di Milano, agli arazzi, legni dipinti, sculture in metallo e i gioielli, creati tra gli anni Settanta e i Novanta, fino alla pittura su tela e su tavola, presentata, a 85 anni, nella personale comasca del 2003. 

A lei Villa Carlotta dedica fino all’8 dicembre la mostra «Luisa Albertini, giorno per giorno. Segni Forme Colori», curata da Elena Di Raddo, Darko Pandakovic e Maria Angela Previtera, in cui si ripercorre il suo itinerario attraverso gli estrosi, coloratissimi «arazzi» (come lei li definiva, ma erano tarsìe di tessuto), i gioielli disegnati e realizzati tra gli anni Sessanta e gli Ottanta del secolo scorso e gli acquerelli così apprezzati da Mario Radice, uno fra i capiscuola dell’Astrattismo italiano, cui si aggiungono alcuni esempi di smalti su rame, legni dipinti e acrilici su tela: distribuite nei nove spazi della Galleria di Villa Carlotta, le sue opere palesano la fascinazione esercitata su di lei dalle culture precolombiane dell’America Latina (gli Aztechi specialmente) non meno che da quelle, nutrite dalle più antiche tradizioni locali, delle attuali popolazioni del Perù e dell’Amazzonia. Nei suoi lavori, sebbene mischiate a simboli occidentali, ci s’imbatte infatti nelle loro simbologie, che provano la sua precoce attenzione al patrimonio visivo delle civiltà non europee. Volutamente «ruvido», primario, anche il modo con cui, specie all’inizio, cuciva i ritagli di tessuto con cui componeva le sue figure metamorfiche e le sue forme astratte. Che, come provano gli schizzi, i disegni, i modelli esposti accanto alle opere finite, erano frutto di una scrupolosa progettazione. 

Di fascino innegabile, poi, i gioielli, realizzati con materiali poveri ma lavorati con grande maestria artigianale e nutriti dalle sue molte letture di psicanalisi e antropologia culturale. Partendo da rame smaltato, argento, alpacca, ottone argentato, e attingendo all’immaginario archetipico di Jung, alle simbologie astrologiche, alle forme e colori tipici delle culture del Sud del mondo, Luisa Albertini sapeva infatti dar vita a un universo di monili luminosi e appaganti ma al tempo stesso densi di significati.

Collana (1970-79 ca) di Luisa Albertini. Collezione privata Studio Aleph, Como

Ada Masoero, 30 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

I segni, le forme e i colori di Luisa Albertini | Ada Masoero

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