Era la notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, quando un terremoto di magnitudo 6,4 colpì il Belice, provocando oltre 300 vittime e la distruzione di interi paesi, come Montevago, Gibellina, Salaparuta, Partanna e Poggio Reale. Una tragedia che nelle parole del nuovo governatore Nello Musumeci, che insieme al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel giorno della ricorrenza ha reso omaggio ai luoghi del cataclisma, rappresenta «un parziale fallimento per lo Stato», se è vero che «in Friuli la ricostruzione post terremoto è chiusa da tempo», mentre in Sicilia è «lenta e ancora incompleta».
Per non dimenticare, la Fondazione Sant’Elia ospita a Palermo, sino al 13 marzo, la mostra «1968/2018 Pausa Sismica. Cinquant’anni dal terremoto del Belìce. Vicende e visioni». Il progetto espositivo, curato dalla Fondazione Orestiadi e coprodotto dalla Fondazione Sant’Elia, in collaborazione con il Comune di Gibellina, è articolato in sezioni disciplinari: pittura, scultura, teatro, foto, video, poesia, musica, architettura e installazioni contemporanee.
Si apre con la cronaca, la notte del terremoto e gli scatti dei fotografi, Brai, Giaramidaro, Minnella, Scafidi, che l’indomani si precipitarono nella valle tra Palermo e Trapani; il primo servizio del radio giornale, i primi video delle Teche Rai, gli scatti di Letizia Battaglia nella baraccopoli. Segue la sezione dedicata all’arte visiva, col progetto urbanistico per Gibellina Nuova, il «Cretto» di Burri costruito sulle rovine, i bozzetti dei monumenti e le opere degli artisti che raccolsero l’appello del sindaco Ludovico Corrao per contribuire in maniera corale al tentativo di ricostruzione di quel territorio e del suo paesaggio anche nel segno della Land art.
In mostra ci sono, tra le altre, opere di Guttuso, Schifano, Rotella e Scialoja, oltre a bozzetti di sculture e frammenti di scenografie di Pomodoro, Paladino, Consagra, Isgrò per le Orestiadi; ma anche i versi dei poeti, la musica e l’archivio orale.