Dal 25 gennaio al primo settembre il Centre Pompidou-Metz presenta la mostra «Dopo la fine. Mappe per un altro futuro». Curata da Manuel Borja-Villel, ex direttore del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, la rassegna riunisce opere di 40 artisti internazionali, molte delle quali realizzate appositamente per Metz o appartenenti alle collezioni personali degli artisti, con l’obiettivo di ripensare i limiti della modernità e immaginare nuovi mondi «oltre la fine dei tempi».
Gli artisti scelti, originari o legati all’area mediterranea e caraibica, riflettono sulle tematiche di appartenenza e di genere, sulla diaspora e sulle comunità, s’interrogano sulle nozioni di spiritualità e sulla politica, esplorano le conseguenze del colonialismo e la necessità di storie alternative per costruire nuovi percorsi culturali. In una nota il museo ha spiegato il suo approccio: «L’obiettivo della mostra è di creare una conoscenza condivisa. Si tratta di essere consapevoli della condizione di frontiera del nostro tempo. Non si tratta di nazioni o di regioni, ma di movimenti. In questo caso, tra i Caraibi e il Mediterraneo, due regioni legate dall’inizio della globalizzazione, le cui relazioni sono raramente esplorate. Il processo di colonizzazione iniziato nel XVI secolo continua ancora oggi e molte nostre guerre hanno radici nel colonialismo».
Tra gli artisti presenti, Rubem Valentim, figura centrale dell’arte brasiliana del XX secolo, che ha lavorato sull’eredità africana del Brasile, i cubani Wifredo Lam e Belkis Ayón, morta suicida a 32 anni nel 1999. E ancora Ellen Gallagher, artista afroamericana che riflette sugli stereotipi razziali, e Aline Motta, brasiliana, autrice di un’opera intimista in cui il mare diventa simbolo di connessione, guarigione e memoria. Sono esposti poi i lavori di Alejandra Riera, Baya, Laeïla Adjovi, Sarah Maldoror e Kapwani Kiwanga. Il Museo del Prado di Madrid ha prestato «La conquista del Messico di Hernán Cortés» (1698) dei fratelli Juan e Miguel González.