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La Torre dei Conti a Roma prima del crollo

Foto Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali Roma

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La Torre dei Conti a Roma prima del crollo

Foto Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali Roma

Il crollo della Torre dei Conti a Roma: un’occasione per riflettere

L’appello del medievista Andrea Augenti: prendiamoci cura delle torri e delle altre testimonianze del Medioevo civile, che sono un importante capitolo della nostra storia

Andrea Augenti

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Il crollo della Torre civica di Pavia, nel 1989; la situazione critica della Torre della Garisenda, a Bologna; e ora, il tragico episodio della Torre dei Conti, a Roma. È molto chiaro, quello che sta succedendo: da qualche tempo le torri medievali delle nostre città ci stanno presentando il conto. Ed è un conto lungo e salato, dovuto a problemi accumulati nel corso dei secoli, e soprattutto all’incuria nei confronti di questi monumenti.

Non si può non parlare di incuria rispetto al crollo della Torre dei Conti: una vera tragedia, prima di tutto perché ha causato l’ennesima morte sul lavoro, quella del rumeno Octay Stroici; e poi perché ha coinvolto un edificio medievale di enorme valore storico ed archeologico. La torre si trovava in uno stato di abbandono da ben vent’anni, e a questo dobbiamo sommare il fatto che Roberto Meneghini, già archeologo della Sovrintendenza Capitolina, a lungo aveva tentato (invano) di portare all’attenzione delle autorità i rischi che correva il monumento.

Perché la Torre dei Conti era e resta una testimonianza importante della storia della città?

I motivi sono molti, vediamo di riassumerli in poco spazio. Innanzitutto la sua costruzione, avvenuta al tempo di papa Innocenzo III (1198-1216), è rappresentativa di quello che accade dopo l’anno Mille a Roma, così come in altre città. Alcune grandi famiglie aristocratiche si impadroniscono di intere zone della città e le presidiano grazie alla costruzione di fortezze e torri. Questi complessi sfruttano i monumenti antichi, che ormai sono abbandonati da secoli e non servono più a nessuno: parliamo di strutture imponenti come il Colosseo, il Teatro di Marcello, il Mausoleo di Augusto e molti altri. Le fortezze medievali usano questi edifici di età imperiale a volte aggiungendo mura merlate per chiuderne le aperture e garantirne la difesa, altre volte semplicemente ne adoperano i resti come fondazioni. È questo che accade nel caso della Torre dei Conti, edificata sulle strutture del Templum Pacis, uno dei Fori Imperiali. La torre è una costruzione massiccia e imponente, una traduzione in pietra e mattoni del potere della famiglia Conti: alta in origine più di 60 metri, si articolava su tre registri e per essere ancora più impressionante aveva un basamento particolare, a fasce bianche e nere alternate, realizzate con scaglie di calcare e di basalto. È un edificio talmente straordinario che viene esaltato persino da Petrarca, e campeggia su tutti gli altri nell’affresco in cui Cimabue raffigura Roma, presa a sintesi di tutta l’Italia, nella Basilica superiore di Assisi. Insomma: una sorta di marchio di fabbrica della città di Roma, che per secoli ha dominato tutto il panorama della città, fino ai nostri giorni. E poi? Cosa è successo, come mai siamo arrivati alla tragedia del 3 novembre scorso?

A conti, fatti, direi che a questo evento si è giunti per vari motivi, alcuni dei quali saranno sicuramente al centro delle indagini che gli inquirenti condurranno nei prossimi mesi: le modalità degli interventi nell’ambito del cantiere di restauro, le segnalazioni non recepite e altro ancora. Su questi aspetti non voglio intervenire, perché non abbiamo ancora informazioni sufficienti. Quello su cui vorrei invece concentrarmi è un aspetto di carattere culturale. Il problema, qui, è la maniera con cui vengono recepite e considerate le testimonianze materiali del Medioevo; che finché si tratta di chiese, monasteri e palazzi vescovili, stanno a cuore a tutti. E perché? Perché quelle architetture sono fruibili, da un lato, e dall’altro perché sono molto spesso decorate: pitture, mosaici, sculture. E quindi: il Medioevo piace, appassiona, ma solo finché si resta nella sfera ecclesiastica, perché il suo valore è percepito prevalentemente in chiave storico-artistica. E così si avvalora un’idea tutta distorta di quel periodo, visto come un’epoca in cui la gente andava solo in chiesa a sentire la messa. Ovviamente il Medioevo non è tutto qui, e per quanto in Occidente sia stata un’epoca profondamente pervasa dal cristianesimo, le testimonianze che ci ha lasciato vanno anche in tutte altre direzioni. In altre parole: ovviamente è esistito anche un Medioevo di marca civile, pubblico e privato, del quale restano palazzi, complessi fortificati, case, torri e altro ancora. Monumenti che nelle città europee vengono spesso valorizzati al meglio, ma in Italia meno, e a Roma direi proprio di no. Perché, alla fine, a Roma ciò che conta davvero, tranne poche eccezioni, sono i resti della città antica. Su questo fronte l’archeologia medievale (disciplina relativamente giovane, ma che ormai vanta un curriculum lungo una cinquantina di anni) non è ancora riuscita ad affermare fino in fondo le sue competenze e rivendicazioni. Ha ragione Andrea Carandini, che è intervenuto subito dopo il crollo: il problema, qui, è il concetto di contesto. Carandini ha posto l’accento soprattutto sul contesto delle competenze e della tutela, un aspetto pure fondamentale: la frammentazione tra le varie soprintendenze certo non giova alla cura del patrimonio, perché rende quantomeno difficile la concezione e la messa in pratica di un programma di tutela unitario. Io però sottolineerei anche l’importanza di un'altra declinazione del concetto di contesto: tutta Roma è un contesto. È un contesto storico e archeologico, pluristratificato, nel quale ogni fase ha la medesima importanza. E quindi, ogni testimonianza materiale, che faccia parte del deposito archeologico sepolto (le stratificazioni sotto i nostri piedi) o di quello in elevato (i resti architettonici ancora visibili), ha la medesima importanza, indipendentemente dal periodo a cui appartiene. Un’importanza storica: perché, alla fine, quello che conta è ricostruire, comprendere e diffondere la storia della città, la sequenza degli eventi grazie alla quale è cresciuta su sé stessa, a volte sfruttando gli stessi muri delle fasi precedenti (proprio come nel caso della Torre dei Conti, costruita sulle strutture del Templum Pacis). E quindi: a Roma c’è un fitto tessuto di testimonianze di un Medioevo civile, tra le molte torri superstiti e le case, ad esempio le case con il portico, tipiche dei secoli XII-XIII. Un tessuto perlopiù ignorato. Un esempio? Tutti i turisti vanno a visitare la Fontana di Trevi, ma nessuno sa che basta girarsi di 180° e si vedono i resti di alcune splendide case a portico medievali inglobate negli edifici posteriori. E non c’è un cartello, nessuna segnalazione di quel patrimonio, lì come in altri casi. Oppure, prendiamo la Rocca dei Savelli, sull’Aventino: un enorme fortezza medievale ancora in buona parte conservata, e mai valorizzata in maniera adeguata.

E poi, ci sono le torri. Si sa, le torri sono un osso duro per la valorizzazione: alte e strette, persino nel Medioevo non ci si abitava, e venivano usate solamente per scopi difensivi. Ma le maniere per renderle fruibili ci sarebbero, basta studiarle: realizzare cartellonistiche adeguate, adibirle a spazi museali (magari collegati tra loro dal punto di vista dei contenuti, perché no?), istituire percorsi alla scoperta della città medievale che permettano di comprendere meglio la rete di questi monumenti, le loro interrelazioni… E invece le torri sono praticamente delle intruse nel paesaggio della maggior parte delle nostre città, e si trascurano: suscitano poco appeal, non sono decorate con mosaici e sculture, appaiono inutili e incomprensibili. Finché crollano, e allora si comincia con la liturgia delle lacrime da coccodrillo, quando ormai è troppo tardi.

Le torri, così come tante altre testimonianze del Medioevo civile, fanno parte del nostro patrimonio culturale, a buon diritto: sono un capitolo importante della nostra storia. Per cortesia, prendiamocene cura, trattiamole con il dovuto rispetto: non aspettiamo che ne crollino altre.

Andrea Augenti, 06 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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