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Gertrude Bell a cavallo a Douris in Libano nel giugno del 1900

© Photo Gertrude Bell Archive Newcastle University

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Gertrude Bell a cavallo a Douris in Libano nel giugno del 1900

© Photo Gertrude Bell Archive Newcastle University

Archeologi nei secoli • Gertrude Bell, regina d’Oriente

Un viaggio in otto puntate tra alcuni dei protagonisti dell’archeologia tra Sei e Novecento, a firma del medievalista Andrea Augenti. Colta e di buona famiglia, una delle prime allieve dell’Università di Oxford, è stata viaggiatrice instancabile, meticolosa fotografa e archeologa. Ha fondato il Museo Nazionale dell’Iraq 

Gertrude Margaret Lowthian Bell nasce il 14 luglio del 1868 nell’Inghilterra settentrionale, a Washington Hall nella contea di Durham. 
I Lowthian Bell sono una famiglia molto agiata, tra gli industriali di maggior successo dell’Inghilterra vittoriana. Il nonno di Gertrude, Isaac, possiede ferriere, acciaierie e miniere di carbone; associa all’abilità imprenditoriale una notevole capacità in campo scientifico, e scrive saggi importanti sul funzionamento degli altiforni. Il padre di Gertrude, Hugh, segue le orme di Isaac: l’impresa familiare continua a prosperare e così lei da subito si ritrova a essere una ricca, ricchissima ereditiera.

Gertrude passa la sua infanzia e l’adolescenza in un ambiente fuori dal comune. Non sono solo ricchissimi, i Bell; sono anche una famiglia da cui è possibile raccogliere molti stimoli, una famiglia colta e raffinata che si muove a suo agio tra interessi scientifici e umanistici. E davanti alla ragazza si prospetta una vita serena e agiata, all’insegna del buon gusto: basti pensare che nel 1904 i Bell si trasferiranno in una nuova abitazione, Rounton Grange, una villa progettata dal grande architetto Philip Webb e decorata con mobili, carte da parati e arazzi firmati nientedimeno che dal fuoriclasse del design William Morris, e con affreschi del grande Edward Burne-Jones, il pittore preraffaellita.

Nel 1884 Gertrude Bell lascia il Nord dell’Inghilterra e dà inizio a una nuova fase della sua vita: va a Londra, per frequentare il Queen’s College. Qui si distingue soprattutto per un forte interesse per la Storia, che poi diventerà una delle sue passioni più importanti. E poi le riesce una cosa davvero rivoluzionaria: a 17 anni viene ammessa all’Università di Oxford, una delle prime donne a farlo. E a Oxford, sola, in un universo accademico dominato in tutto e per tutto dagli uomini, conclude con successo il corso di studio in Storia. Ma il carattere della ragazza non è dei migliori: è piuttosto arrogante, eccentrica, spesso insofferente, soprattutto dopo l’esperienza a Oxford, appare un po’ troppo spocchiosa, a detta dei suoi familiari. Che perciò decidono di farle compiere dei viaggi, per «ripulirla» dalle maniere oxfordiane. Gertrude Bell inizia così una serie di peregrinazioni che conteranno moltissimo per la sua formazione.

In viaggio tra Europa e Asia

Va in Romania, poi a Parigi e a Costantinopoli e torna sempre più arricchita da queste trasferte. Finché nel 1892 parte finalmente per un lungo soggiorno in Asia: a Teheran, dove lo zio, Frank Lascelles, è ambasciatore del Regno Unito. E Bell resta letteralmente folgorata dall’Asia: dai paesaggi, dai monumenti e dalle persone. E sempre qui, conosce il suo primo amore: è Henry Cadogan, un giovane segretario dell’Ambasciata. Cadogan è nobile, molto bello ed elegante, colto e sportivo: un ottimo giocatore di tennis. Tra i due nasce una passione molto intensa. Ma Cadogan ha alcuni punti deboli: non ha una fortuna personale, guadagna troppo poco ed è anche un giocatore d’azzardo. Tutt’altro che un buon partito, o almeno, così lo giudica la famiglia di Gertrude. Lei, innamoratissima e battagliera, torna in Inghilterra apposta per perorare la sua causa, ma senza successo. Il matrimonio non si può fare, è fuori discussione. Ancora una volta Bell è una donna sola contro le convenzioni, contro il suo tempo. E mentre si trova in questa situazione difficilissima, da Teheran arriva un telegramma: dopo una caduta in acqua, durante una battuta di pesca in un fiume gelido, Cadogan è morto, stroncato da una polmonite fulminante. È un colpo terribile, per Bell. Le ci vorranno anni, per riprendersi almeno un po’. Ma lei ha una capacità di resilienza molto alta; continua a coltivare alcune sue passioni, come lo studio dell’arabo e del farsi, scrive alcuni libri e ricomincia presto con i suoi viaggi: Parigi, Italia, Svizzera, Germania. E sempre nel 1897 scopre un’altra delle sue molte passioni. Nell’estate di quell’anno, nel corso di una vacanza in Svizzera con la sua famiglia, comincia a interessarsi all’alpinismo. In poco tempo diventa un’alpinista provetta, anche grazie al suo coraggio e a una tenacia che è sicuramente uno dei suoi tratti più caratteristici. Tra il 1897 e il 1904 si getta a capofitto in questa nuova attività e scala cime notevoli, vere e proprie sfide per l’epoca: il Monte Bianco, lo Schreckhorn e i sette picchi del gruppo dell’Engelhörner. E anche qui le riesce un’impresa non da poco: a una delle sette cime viene dato il suo nome: Gertrudspitze, il Picco di Gertrude.

Ma Gertrude Bell non si ferma mai, è veramente instancabile. E così, nel pieno delle attività alpinistiche, inizia a farsi catturare nuovamente anche da un’altra passione: l’Oriente. È una fascinazione profonda, che non l’ha abbandonata neanche dopo la morte del suo primo amore, Henry Cadogan. Nel 1899 inizia il suo primo grande viaggio, che dura ben sette mesi. Arriva a Gerusalemme, dove si dedica intensamente allo studio dell’arabo, e poi comincia a spostarsi. Dall’itinerario capiamo che stavolta le passioni in gioco sono ben due: non solo l’Oriente, ma anche l’archeologia. Gertrude va a Petra, a Damasco, nella città morta di Palmira; va in cerca di rovine, di luoghi della storia. E poi torna ancora in Oriente, per una seconda volta. 

Nel 1905 attraversa la Palestina e la Siria, visita i siti archeologici della valle dell’Oronte e del Massiccio Calcareo. E lo sguardo di Gertrude Bell è tutto puntato verso un indirizzo degli studi non troppo praticato, allora: l’archeologia della tarda Antichità e del Medioevo. Tra le altre cose, visita l’impressionante castello crociato del Krak de Chevaliers, la fortezza islamica di Shayzar e la città abbandonata di Tarutin. Insomma, Gertrude Bell è un’archeologa del Medioevo ante litteram, perché al suo tempo l’Archeologia medievale ancora non esiste ufficialmente.

Una veduta di Palmira, in Siria, nel 2007. Foto: Unesco / Francesco Bandarin

Archeologa e fotografa

Verso la fine del viaggio del 1905 notiamo una svolta netta nell’archeologia di Gertrude Bell. Questa tranche del suo percorso è dedicata alla Turchia, e in particolare alle regioni della Cilicia e della Licaonia. E qui il suo intento è molto preciso: analizzare e documentare tutte le chiese bizantine di alcune zone, e in particolare quelle della località chiamata Binbirkilise, e cioè «Le mille e una chiesa». I lavori iniziano, e vediamo all’opera una Bell che finora non conoscevamo. La sua archeologia ora è matura e sistematica, volta soprattutto a indagare e a ricostruire le architetture e i monumenti antichi. Non c’è scavo stratigrafico, ma una pulizia molto superficiale che serve soprattutto a sgombrare il terreno dai detriti, portando così alla luce i muri degli edifici. Bell misura, disegna le strutture, le analizza, indaga le diverse soluzioni architettoniche e ricostruisce le planimetrie delle chiese. E poi, c’è una cosa che lei fa particolarmente bene: fotografa. Oggi sono tutti d’accordo sul fatto che uno dei più importanti apporti di questa studiosa sia quello di avere scattato migliaia di fotografie di ottima qualità, nitide: sia dettagli minuziosi che inquadrature ampie, per le quali usa un obiettivo panoramico. Le fotografie di Gertrude Bell non solo sono uno strumento prezioso, grazie al quale indaga ogni parte degli edifici, sono anche una testimonianza fondamentale, spesso unica: perché documentano un patrimonio monumentale dal valore storico inestimabile che in molti casi nei decenni successivi si è deteriorato, è crollato in parte o del tutto, oppure è stato addirittura cannoneggiato, distrutto a colpi di missili o di granate. Nel 1909, nel corso di un altro viaggio in Mesopotamia, Bell risale il corso dell’Eufrate, e poi quello del Tigri. Stavolta, oltre ai suoi interessi, ha una missione da compiere: per conto dell’Ashmolean Museum di Oxford deve andare sul sito di Karkemish, per fare dei calchi di alcune iscrizioni. E a Karkemish lei spera di incontrare il grande archeologo Leonard Woolley, ma lui non c’è. 

Ci sono invece due illustri sconosciuti: Reginald Campbell Thompson e un piccoletto, molto timido e silenzioso. Il suo nome è Thomas Edward Lawrence, quello che poi passerà alla storia come Lawrence d’Arabia. Inizialmente non scorre un gran feeling e lei è alquanto inorridita dai metodi di scavo degli inglesi: pensa che siano piuttosto primitivi. Ma con un grandioso coup de théâtre i due raddrizzano la situazione: le offrono un tè e nel frattempo si lanciano in discorsi nei quali esibiscono tutta la loro cultura archeologica, politica e letteraria. Si mostrano aggiornati, brillanti, attenti, e insomma... la neutralizzano a parole, impressionandola. E dopo tireranno un respiro di sollievo per lo scampato pericolo, perché un cattivo giudizio della Bell poteva determinare la chiusura dello scavo.

Nel prosieguo del viaggio, che la porterà in luoghi fino ad allora sconosciuti ai più, Gertrude Bell si imbatte in quello che considererà il suo tesoro personale: Ukhaidir, una fortezza islamica conservata quasi perfettamente. È un sito straordinario, al quale dedicherà mesi e mesi di lavoro, tornandoci in più di un’occasione per scattare foto e prendere nuove misure. Il lavoro di grande precisione fatto a Ukhaidir, poi diventato una monografia, è entrato nella storia. Le sue piante, tutte misurate a mano, sono ancora oggi valide. E la sua interpretazione, e cioè che si tratti di una fondazione di VIII secolo, è tuttora una delle ipotesi più solide, anche se discussa. 

Finito il viaggio, Bell torna in Inghilterra. Ora la sequenza degli eventi si fa più incalzante. Nel corso dei suoi vari viaggi conosce un diplomatico, Richard Doughty-Wylie. Tra i due nasce presto una passione, ma lui è sposato. Nel frattempo, scoppia la Prima guerra mondiale. E nel 1915, nella battaglia di Gallipoli, in Turchia, Doughty-Wylie muore. Ed è un secondo shock. Stavolta il colpo è ancora più forte del primo: ci vorranno mesi e mesi perché Gertrude possa iniziare a riprendersi. Ma il lavoro l’aiuta e nello stesso anno viene convocata al Cairo per lavorare come esperta all’Arab Bureau. Entra nell’Intelligence al fianco di Lawrence mettendo al servizio della politica internazionale tutte le conoscenze accumulate nel corso dei suoi viaggi. Poi viene mandata a Baghdad, dove diventa «Oriental Secretary». E qui assume un ruolo importantissimo: proprio in virtù del suo sapere, viene incaricata dal Governo britannico di tracciare i confini di un nuovo Stato, l’Iraq, l’invenzione geopolitica che secondo gli Occidentali aiuterà a superare il disastro del crollo dell’Impero Ottomano. Per questo parteciperà alla Conferenza del Cairo, da protagonista; e sarà sempre lei a scegliere il primo re dell’Iraq: Feisal. Proprio da Feisal Gertrude Bell otterrà la nomina a direttore onorario delle Antichità; e fonderà il Museo Nazionale a Baghdad. Ma lei è stanca. Le responsabilità sono molte, ed è completamente sola. E la notte del 12 luglio, a due giorni dai suoi 58 anni, Gertrude Bell muore, per un’overdose di sonniferi. Probabilmente è un suicidio. Viene sepolta a Baghdad, nel Paese che lei stessa aveva contribuito a inventare. La storia di Gertrude Bell è affascinante, ma è anche dura da digerire. È la storia di una donna intelligente, versatile e piena di passioni, che ha fatto molto, in molti campi e sempre ad altissimi livelli; e che però ha sempre dovuto battersi per dimostrare qualcosa, in un mondo dominato dagli uomini. È una storia che è stata raccontata al cinema, due volte: in un film (non troppo riuscito) di Werner Herzog, «La regina del deserto», dove la interpreta Nicole Kidman; e in uno splendido documentario, «Letters from Baghdad», dove la sua voce è quella della grande Tilda Swinton (anche il recente romanzo Mesopotamia del francese Olivier Guez, pubblicato da poco da La nave di Teseo, è dedicato alla sua storia, Ndr). Ma di lei si parla ancora troppo poco, anche nel mondo dell’archeologia, al quale invece ha lasciato una ricchissima eredità.

Andrea Augenti, 02 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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