Chiara Pasetti
Leggi i suoi articoliNîmes (Francia). La mostra «Formes biographiques», in corso fino al 20 settembre presso il Carré d’Art-Musée d’art contemporain di Nîmes, rappresenta la seconda parte dell’omonima esposizione presentata lo scorso anno al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía a Madrid.
Il curatore Jean-François Chevrier, storico e critico d’arte nonché poliedrico autore di saggi che legano arte, letteratura e psicologia (l’ultimo, del 2012, è L’hallucination artistique), nella versione francese della mostra si concentra in particolare sul periodo attuale, scegliendo opere realizzate principalmente dalla fine degli anni 1950 a oggi, di cui la maggior parte non sono mai state esposte in Francia (tra i tanti artisti presenti ricordiamo Sigmar Polke, Dieter Roth, Thomas Schutte, Ahlam Shibli, Anne-Marie Schneider, Valie Export, Étienne-Martin, grande lettore di Aurélia di Nerval, rappresentato infatti in mostra con due riproduzioni dall’originale di un suo foglio manoscritto e di un suo ritratto eseguito da Eugène Gervais, su cui figurano enigmatiche scritte e disegni dello stesso Nerval).
Dipinti, fotografie, sculture, disegni, film, assemblage, documenti interrogano il modello costruttivo della biografia (reale o di finzione) come dato di partenza dell’attività artistica. La biografia è la vita (bios) scritta (gráphein), o più precisamente il racconto, la storia più o meno veritiera di una vita.
Dalle Vite di Vasari in poi la storia dell’arte si è scritta principalmente come una successione di opere e di vite di artisti. Lo schema «la vita e l’opera» ha consacrato la promozione dell’artista come «attore individuale». Ma a partire dalla seconda metà dell’Ottocento si sviluppa una «storia dell’arte senza nomi», attenta alla «vita delle forme», che aveva generato una crisi della biografia in senso stretto: la biografia si stava emancipando dall’opera.
Rimbaud aveva lanciato il suo «Je est un autre», enunciando il diritto poetico per tutti a una vita multipla: «a ogni essere, parecchie altre vite mi sembrano dovute», si legge in Une saison à l’enfer.
Qualche anno prima, Nerval (autore molto indagato da Chevrier), aveva inventato la «postura dissociata» del poeta come biografo di se stesso in altro/altri. In Aurélia, aveva posto la finzione lirica al cuore di un gioco di identità: «l’ora della nascita, il punto della terra dove veniamo alla luce, il primo gesto, il nomignolo affettuoso, – e tutte le consacrazioni, tutti i riti che ci vengono imposti, tutto ciò stabilisce una serie felice o infausta da cui dipende l’intero avvenire». Nel suo foglietto conosciuto come Généalogie fantastique (presente in mostra) aveva sviluppato una duplice speculazione sulla genealogia legata al suo vero cognome (Labrunie) e sulla «terre de Nerval» legata invece allo pseudonimo scelto, che rimandava alla madre.
La sua «genealogia fantastica», da cui Chevrier prende spunto nella mostra e nel catalogo per affermare che «ogni biografia è una genealogia», e ogni essere umano che si sente rifiutato sulla terra, «mal nato», cerca «di rifarsi, di rifare la propria biografia», è il tipico esempio dell’elaborazione di una mitologia individuale (o personale), che riposa non su dati certi ma su dati scelti, su associazioni del sogno e del delirio; questo concetto arriva fino alla nozione di «mitologia personale» di Szeemann del 1963, e di «psicocritica» di Charles Mauron dello stesso anno, fondata sulle «métaphores obsédantes» che si ritrovano nei testi di Mallarmé.
L’arte, e la mostra «Formes biographiques» lo conferma, può ancora essere, con le parole di Nerval, «il dilagare del sogno nella vita reale». Anche perché, come scriveva Paul Valéry, «il solo reale nell’arte, è l’arte».

Robert Filliou, «Autobiographical», 1963-1973. Collection AM & M Robelin

Frontespizio del libro di Eugène de Mirecourt Gérard de Nerval (1854), con l’incisione di Eugène Gervais che riproduce un dagherrotipo di Nerval eseguito da Adolphe Legros. I disegni e le scritte a matita sono di Nerval.
Altri articoli dell'autore
Un catalogo di mostra su Suzanne Valadon testimonia il talento di un gruppo di donne protagoniste dell'arte tra Otto e Novecento
Si appassionava agli autori del suo secolo, ma amava anche i classici
In documenti reali o immaginari, si scrivono Rodin e la Claudel, Füssli e Mary Shelley, Artemisia Gentileschi e suo padre
Per la prima volta al Louvre dopo il restauro 130 pastelli del Sei e Settecento