Una veduta dell’installazione «A helicopter upside down», 2025, di Paola Pivi a San Carlo Cremona

Foto: Attilio Maranzano. Courtesy of San Carlo

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Una veduta dell’installazione «A helicopter upside down», 2025, di Paola Pivi a San Carlo Cremona

Foto: Attilio Maranzano. Courtesy of San Carlo

Il gesto di Paola Pivi sovverte i paradigmi

«Da quell’elicottero si sprigiona una sensazione di potenza». L’artista milanese descrive così l’Agusta 109 capovolto a San Carlo Cremona, esempio del suo voler mettere in discussione il tradizionale modo di percepire le cose

È dal 1999 quando, giovanissima, vinse il Leone d’Oro per il migliore padiglione nazionale alla 48ma Biennale di Venezia, che Paola Pivi (Milano, 1971) mette in crisi con le sue opere le certezze di ognuno, sovverte paradigmi consolidati, stimola in chi osserva le sue opere la necessità di riconsiderare ciò che si dà per scontato.

A Venezia presentava allora un caccia Fiat G-91 capovolto, che sarebbe tornato nel 2006 nella mostra «My religion is kindness. Thank you, see you in the future» di Fondazione Trussardi a Milano, insieme a un gran numero di animali, tutti candidi. Ora, in San Carlo Cremona, dal fino a fine giugno è la volta di «A helicopter upside down»: il titolo dichiara senza mediazioni l’essenza del progetto site specific da lei concepito per questa chiesa malconcia e bellissima, sconsacrata da secoli e passata attraverso mille vicissitudini e mille incongrue destinazioni d’uso, che dal 2021 è stata «adottata» da Lorenzo Spinelli e da Form. The Creative Group, che l’hanno trasformata in un emozionante luogo espositivo per il contemporaneo. L’artista ne parla con noi.

Paola Pivi, la sede espositiva del suo nuovo progetto è carica di meraviglia: quanto ha contato il contesto di questa architettura nella sua scelta di realizzare quest’opera?
Entrando, ho subito pensato che fosse un luogo bellissimo. Ho corso su e giù per le navate, come faccio anche nei musei e nelle gallerie dove devo esporre, per impossessarmi del suo spazio. Uno spazio che per me, che sono nata in Italia, è una realtà familiare: le chiese appartengono profondamente alla nostra cultura. Ma mi è stato d’ispirazione anche il fatto che, in piena pandemia, quando tutti vivevamo quella sorta di paralisi, una persona abbia pensato di acquistarla e destinarla all’arte contemporanea. Del resto, proprio in un’altra chiesa sconsacrata, la Chapelle de La Vieille Charité di Marsiglia, nel 2021 avevo esposto il mio lavoro «25,000 Covid Jokes (It's not a joke)», una collezione di immagini satiriche sulla pandemia che circolavano sui social e sulla carta stampata, ottenute ingaggiando dei «corrispondenti» nel mondo intero. Stampate su carta, le ho esposte fittamente sulle pareti bianche di una sorta di labirinto che ho costruito nella chiesa: ho sempre pensato, infatti, che la satira rappresenti uno degli apici della cultura, non solo occidentale. In San Carlo Cremona, invece, ho voluto una sola scultura: un elicottero Agusta 109, disegnato nel 1971 (l’anno della mia nascita), tuttora in produzione e inalterato da allora. Un oggetto magnifico e una delle eccellenze della progettualità italiana, che ho collocato nella navata centrale, capovolto. 

Spesso nei suoi lavori ci sono mezzi progettati per viaggiare (aerei, elicotteri, camion) rovesciati e quindi, per così dire, negati, neutralizzati, quasi «puniti». Perché?
Mi stupisce che lei li interpreti così. Al contrario, da quell’elicottero, un oggetto bellissimo adagiato al suolo in modo elegante, si sprigiona una sensazione di potenza; ciò che si avverte è la potenza del mio gesto. Quando lo abbiamo collocato nella navata, la chiesa è improvvisamente diventata piccola e l’elicottero più grande. Se mai, c’è chi lo ha letto come una «caduta degli dèi». È un’opera molto estetica e l’elicottero ai miei occhi è qualcosa di magico, che contrasta la gravità come un uccello, un dio, un angelo. L’opera, comunque, sta nel mio gesto.

Anche gli animali occupano un ruolo primario nel suo lavoro: di quale messaggio sono portatori? Ma, più ancora: lei vuole che le sue opere portino un messaggio?
I veri artisti non vogliono veicolare nessun messaggio. L’arte è al di sopra dell’uomo. E in ogni caso per le mie opere io prendo dal mondo: animali, aerei ma anche perle o la Statua della Libertà... Io mi sento calata nella realtà.

Mentre parliamo lei è alle Hawaii, dove ora vive, ma prima ha vissuto in molti luoghi, da Alicudi a Anchorage in Alaska, da Shanghai a Delhi. Questo nomadismo è un ingrediente della sua creatività?
No, è un ingrediente della mia vita e la mia arte è aderente alla vita: arte e vita sono un tutt’uno.

Ha dichiarato in passato che i suoi studi di ingegneria chimica nucleare l’hanno molto aiutata anche nell’arte. Come?
Mi sono iscritta a Ingegneria chimica nucleare ma non mi sono laureata. Di lì sono passata all’Accademia d’arte di Brera ma il rigore scientifico che ho appreso al Politecnico di Milano mi è stato di grande aiuto in tante fasi della vita e non solo nell’arte, perché mi ha dato, per esempio, gli strumenti per affrontare prove come una causa legale lunga quattro anni per i diritti umani di mio figlio, oltre ad aiutarmi a gestire il mio lavoro di artista a livello internazionale.

I titoli dei suoi lavori sono talvolta descrittivi (come a Cremona), talvolta evocativi. Come li formula?
A San Carlo Cremona tenevo che si capisse immediatamente la natura del progetto quindi ho optato per un titolo tautologico, mentre molto spesso uso titoli evocativi creati da mio marito, Karma Culture Brothers, un compositore, cantautore e poeta di etnia tibetana: lui sa creare insiemi di parole che sono essi stessi vere opere d’arte e che io adotto per i miei lavori per la loro funzione di aprire una porta su di essi.

Credo di poter indovinare la risposta ma vorrei porle ugualmente questa domanda: vista l’attuale deificazione dell’IA, lei pensa che potrebbe mai ricorrerci per realizzare un suo lavoro?
La penso come il linguista e filosofo statunitense Noam Chomsky, che sostiene che non si dovrebbe parlare di Intelligenza artificiale ma di «plagio universale», perché altro non è che la rielaborazione di una collezione di un altissimo numero di cose fatte da altri. Certo, l’IA può analizzare milioni di dati, cosa che noi umani non possiamo fare, ma io continuo ad avere più aspettative dall’intuizione creativa di un singolo essere umano che dalle risorse dell’Intelligenza artificiale.

Una veduta dell’installazione «A helicopter upside down», 2025, di Paola Pivi a San Carlo Cremona. Foto: Attilio Maranzano. Courtesy of San Carlo

Ada Masoero, 13 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

Il gesto di Paola Pivi sovverte i paradigmi | Ada Masoero

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