Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliPer molti anni direttrice delle Cappelle Medicee, Monica Bietti ha curato, insieme alla studiosa tedesca Claudia Echinger-Maurach, il volume La Sagrestia di Michelangelo. Nuovi studi e restauro (376 pp., ill. col. e b/n, Mandragora, Firenze 2024, € 80), che si avvale di una magnifica documentazione fotografica di Antonio Quattrone. Se nella prima parte del libro Echinger-Maurach si concentra sulla storia della celebre Sacrestia dalle origini alla partenza di Michelangelo per Roma (1534) e Bietti ne ricostruisce le vicende fino ai nostri giorni, appare invece dedicata al lungo e innovativo processo di restauro la seconda parte, che grazie ai contributi di Daniela Manna, Antonio Forcellino, Anna Rosa Sprocati, Chiara Alisi e Marina Vincenti approfondisce anche le tecniche di lavorazione utilizzate dall’artista, scoperte e/o confermate dai recenti restauri.
«La Sacrestia era veramente molto sporca a causa della mani che continuamente toccano gli stipiti di entrata, ricorda Bietti. Con Cristina Samarelli, all’epoca responsabile del laboratorio di restauro del Polo Museale, dopo alcune prove scegliemmo nel 2009, grazie alle loro competenze, le restauratrici Daniela Manna e Marina Vincenti, formatesi in due tra i più prestigiosi istituti italiani, l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, caratterizzati da approcci metodologici diversi. Questo fattore ha peraltro portato a una grande integrazione di competenze. Dati gli ottimi risultati ottenuti sul portale, Samarelli e io impostammo poi un progetto generale di restauro da portare avanti per piccole fasi, data la scarsità di fondi. Dopo la pulitura della parete dedicata a Giuliano di Nemours nel 2013-14, ci siamo dedicate a quella di Lorenzo duca di Urbino e infine, tra 2018 e 2020, ai gruppi statuari, con una decisione di lavorare a cantiere aperto che si è tradotta in una bellissima e proficua esperienza di scambio con i visitatori. Le ultime sculture a essere restaurate sono state il gruppo della “Madonna con i santi Cosma e Damiano”, per le quali è intervenuto, così come per la nuova illuminazione, un finanziamento di Igt/Lottomatica con scelta, approvata da Paola D’Agostino nel frattempo divenuta direttrice dei Musei del Bargello, di Antonio Forcellino per il restauro, insieme a Marina Vincenti».
Il restauro ha portato significativi approfondimenti e scoperte: «Come noto, conferma Bietti, dal 1571 all’800 le sculture michelangiolesche furono oggetto di calchi. Venivano quindi cosparse di olio e gesso, poi tagliato in parti. Successivamente le statue venivano insaponate e lavate, ma tagli e segni di matita rossa sono tuttora presenti. Il restauro ha anche evidenziato l’utilizzo degli strumenti michelangioleschi, compreso il trapano, tanto che abbiamo rinvenuto uno scalpello rotto all’interno di una statua. Abbiamo anche riscoperto una Sacrestia originariamente più colorata grazie alla presenza di stucchi, oltre alle testimonianze da me rinvenute a livello documentario di un pavimento in cotto rosso con fasce grigie sostituito nel 1805 con quello attuale. Un grosso problema era infine rappresentato dalle macchie organiche presenti sul sarcofago di Lorenzo duca di Urbino, causate dalla presenza del corpo non eviscerato del duca Alessandro. Con un’innovativa pulitura tramite batteri della Terra dei Fuochi, ottenuta grazie alla collaborazione di scienziate del Cnr e dell’Enea, siamo riuscite ad attenuare il problema, senza però eliminare completamente i segni del tempo. Gli aspetti manutentivi sono del resto stati fondamentali fin dall’inizio, dato che nella Sacrestia pioveva dentro dalla cupola già ai tempi di Michelangelo e ogni dieci anni si rendeva necessario un intervento».
Di pari importanza gli studi sulla storia del luogo condotti da Claudia Echinger-Maurach, in gran parte basati su documenti inediti: «La studiosa ha messo finalmente ordine nella sterminata bibliografia michelangiolesca rileggendone anche l’intero carteggio, allo scopo di cercare di capire genesi e sviluppo del progetto, aggiunge Monica Bietti. Siamo giunte alla conclusione che Michelangelo abbia spesso cambiato idea, e che quanto ci è pervenuto sia veramente molto distante non solo dall’idea originaria, ma anche dall’assetto che si era più o meno mantenuto fino a quando l’Elettrice Palatina, visto il deterioramento degli stucchi di Giovanni da Udine, lasciò i soldi per la loro eliminazione, aprendo la strada alle trasformazioni successive».
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